Mi chiamo Arianna.
Di me non sapete niente e sono qui per svelarmi, spogliarmi, offrirmi ai vostri occhi, senza inganni.
Io sono Arianna, ho un nome aperto come il mare che circonda Creta.
E’ mio destino trovare l’uscita, sciogliere il groviglio di una matassa che non appartiene a me, ma che gli dèi mi hanno messo fra le mani.
Un dono?
Non lo so. Ho creduto che fosse un dono per molto tempo. Ora ne dubito.
Ho sciolto nodi, ho districato fili attorcigliati su se stessi, ho speso minuti e minuti, giorni, ore, notti e ancora minuti e minuti, giorni, ore, notti, minuti e minuti, giorni, ore, notti e ancora il tempo piccolo dei giorni freddi e il tempo grande dell’estate, che apre il cuore degli uomini e lo spalanca, come fosse una finestra sul mare, il grande mare che a me ha rubato amore e desiderio.
Si chiamava Teseo, era coraggioso. Ho creduto fosse mio, gli dei hanno voluto che così fosse per il bene di tutti, si sa che l’amore fa miracoli e io il miracolo l’ho fatto.
La conoscete tutti la storia del labirinto e del Minotauro e di Teseo che finalmente uccide il mostro e trova l’uscita del labirinto grazie a me che gli porgo il filo… Quel che non sapete è chi era davvero il Minotauro.
Un errore della natura. Un mostro. Un nemico.
Dicono.
Io dico: Un cuore in prigione, viscere mai sazie, sete insaziabile, occhi ciechi, istinto da fiera, buio, silenzio, solitudine amara, rabbia.
Non mi perdonerò.
Non perdonerò la mia pelle ubbidiente ai miei desideri.
Non perdonerò la mia mente ubbidiente all’astuzia.
L’amore è un inganno degli dei.
L’amore è un inganno della mente.
L’amore è un guasto al cuore.
L’amore è indigestione.
L’amore è congestione.
L’amore fa sudare.
L’amore fa ingrassare.
L’amore fa dimagrire.
L’amore fa male.
L’amore fa bene.
L’amore è indifferente.
Fa i suoi interessi
l’amore.
Non sa curare il male,
non sa medicare le ferite,
non si preoccupa della morte,
si crede immortale
è solo immorale.
O forse è
al di là
del male,
al di là
del bene,
non ha morale,
non è mortale
non è immortale,
somiglia al mare.
Va e viene,
dà e trattiene,
nasce, muore,
rinasce,
conosce il sole e la tempesta.
La festa, il vento forte,
la morte.
Chi era il Minotauro? Chi sono io? Chi è Teseo? Domande oziose, utili a ingannare il tempo perso di una donna abbandonata alle sue ombre.
Siamo nati dallo stesso ventre io e il Minotauro.
Mia madre, nostra madre Pasifae, si innamorò del toro bianco.
Doveva essere sacrificato questo toro, ma per caso, per destino o per il semplice gusto della disobbedienza non fu così.
L’amore è un inganno degli dei, mia madre la ingannò Poseidone, come fosse uno scherzo… fece in modo che si innamorasse dell’animale, senza vergogna.
Il Minotauro era il frutto della mostruosa unione.
Corpo umano e testa taurina,
Bisognava nasconderlo al mondo. Fu nascosto nel Labirinto.
Siamo nati dallo stesso sciagurato ventre io e il Minotauro, ma io questa comune appartenenza l’ho dimenticata, ho lasciato che l’oblio la logorasse, la divorasse, come fa la ruggine col ferro, come fa la noia con l’anima stanca di una donna abbandonata alle soglie di un lungo inverno.
Siamo nati dallo stesso avido ventre io e il Minotauro, ma io ho lasciato che Teseo lo uccidesse.
L’amore è un inganno della mente.
L’amore è un guasto al cuore.
L’amore è indifferente
Fa i suoi interessi
l’amore.
Io ho amato Teseo. Gli ho consegnato un filo e così discricandolo, un passo per volta, a mano a mano, a poco a poco si è potuto orientare nei meandri del Labirinto, senza perdersi.
Fa i suoi interessi
l’amore.
Non sa curare il male,
non sa medicare le ferite,
non si preoccupa della morte,
si crede immortale
è solo immorale.
Fuggimmo da Creta.
Il viaggio non so quanto è durato, forse un giorno, forse dieci, forse cento. Poi all’improvviso, a Nasso, senza una sola parola, mi ha abbandonata.
E sono qui, a sciogliere i nodi di un abbandono che non capisco, che rifiuto, che ricevo come un pugno in faccia.
E di me non so più niente.
Sono sicura di chiamarmi Arianna? E se il mio nome fosse Penelope? E se il mio nome fosse Eva? O Maddalena?
E se indossassi un nome qualunque?
Maria, Giovanna, Francesca, Sara, Marianna, Serena, Dora, Teresa, Ada, Rita, Jane, Agnese, Genny, Imma.
E se il mio nome lo avesse inghiottito il mare e io fossi ombra di un corpo sconosciuto?
Così sia.
Voglio dare voce a chi voce non ha.
Le mie ombre hanno tanti nomi, io ci salterò sopra, le accompagnerò ovunque vorranno andare, mi farò seguire, inseguire, mi lascerò ingoiare dal sole di mezzogiorno e sarò un trampoliere matto all’ora del tramonto, avrò gambe lunghe per compiere passi falsi, esprimendo desideri folli, colorati di rosso e spumeggianti come l’onda del mare a cui non so darmi.
Amore è quasi anagramma di mare.
E se a me non mancasse l’amore? Se mi mancasse semplicemente quel mare sconosciuto che mi strappava a Creta, alla colpa, all’appartenenza.
Forse, quando muore un amore, quel che manca è l’illusione, il gioco, il sogno, l’ignoto, la via di fuga che l’amore, quando è ancora immaginato, sembra poterci dare.
Da qui non posso più scappare.
Da qui devo ricordare chi sono e devo saper tornare al mio indirizzo.
Devo tornare a casa.
Vivrò in quel labirinto che ha nutrito la mia sventura, ricomincerò dall’ombra dei vicoli ciechi che ho attraversato con l’inganno. Starò lì dove ho conosciuto la colpa e l’incoscienza, Eros e Thanathos mi rimandano lì, al centro del mio tormento. Ne uscirò quando somiglierò al mio nome e sarò chiara come il mare d’estate, come la rima di una cantilena cantata ai bambini.