Magazzino Memoria

Processo per stupro

17.08.2022

Il fatto

E’ il 1977: Fiorella, una ragazza di 18 anni, Fiorella, viene invitata da  Rocco Vallone, un suo conoscente, a raggiungerlo in una villa dove avrebbero discusso di una sua possibile assunzione come segretaria. La ragazza, però, viene sequestrata e stuprata per un intero pomeriggio da quattro uomini, tra i quali lo stesso Vallone.  Fiorella li denuncia  tutti per «violenza carnale di gruppo».

 

Il processo

La prima udienza del processo si svolge nel 1978, otto mesi dopo lo stupro. I quattro imputati, che al momento dell’arresto avevano confessato la violenza, decidono in seguito di ritrattare, arrivando  a  dichiarare, durante la fase istruttoria, che non solo il “rapporto” era stato consensuale, ma che avevano concordato con la ragazza un compenso di 200.000 lire. In seguito, uno di loro ammetterà di aver proposto a Fiorella un milione di lire, per il tramite del cognato,  a condizione che lei non lo riconoscesse in aula.

Intanto, all’inizio del processo, gli avvocati difensori avevano depositato in aula  2 milioni di lire, in qualità di risarcimento danni, una «mazzetta buttata sul tavolo»., secondo la definizione dell’avvocata di Fiorella, Tina Lagostena Bassi, che aggiunge:  «Il danno subito da una ragazza violentata è incommensurabile e non si può risarcire con una mazzetta». Fiorella non accetta l’offerta e a chi le domanda la ragione del suo rifiuto, risponde: «Per ragioni morali non voglio niente».

Per un atroce paradosso, sembra che a salire sul banco degli imputati sia la vittima, questa ragazzina di 18 anni, che viene costretta a difendersi come se fosse lei la colpevole.

La martellano di domande sul suo passato, nonostante le proteste della sua avvocata, perché lo ritengono necessario «ai fini dell’attendibilità della testimone: dato che la prova si basa unicamente sulla parola della testimone offesa, va verificato se ha detto cose non vere anche in precedenza».

Sostengono che avesse già avuto dei rapporti con uno degli stupratori.

Le chiedono se era stata picchiata, se c’era stata fellatio cum eiaculatione in ore  (perché «Signori, una violenza carnale con fellatio può essere interrotta con un morsetto: passa immediatamente la voglia a chiunque di continuare e l’atto, quindi, mal si coniuga con l’ipotesi della violenza. Anzi: è incompatibile. Con la fellatio il possesso è stato esercitato dalla ragazza sui maschi, dalla femmina sui maschi, è lei che prende, è lei la parte attiva. Loro sono passivi, inermi. Abbandonati nelle fauci avide di costei»).

Chiedono a sua madre come mai Fiorella fosse andata ad un appuntamento con un uomo che appena conosceva e che non le aveva presentato.

Chiamano a testimoniare alcuni amici degli imputati, i quali sostengono che la ragazza, benché fidanzata, avesse l’abitudine di intrattenersi al bar con altri uomini  («L’ho rimorchiata dentro un negozio. Le ho detto una parola e lei è montata in macchina»).

Intanto, si sente dire che le donne devono essere «pronte a raccogliere i frutti che avevano seminato» con il femminismo, mentre, all’esterno del tribunale, le madri degli imputati difendono a spada tratta l’onore dei loro figli, accusando la ragazza di averli adescati.

 

Il documentario

Il 26 aprile del 1979 la RAI trasmette, in prima serata, il documentario “Processo per stupro”:  è un fatto senza precedenti, perché mai, prima di quella data, un processo per violenza sessuale era stato mostrato pubblicamente.

L’idea aveva preso forma dopo un convegno internazionale sulla violenza contro le donne, che i movimenti femministi avevano organizzato a Roma nell’aprile del 1978. Una cosa era fin troppo drammaticamente evidente:  ovunque e sempre, la vittima di uno stupro diventava automaticamente l’accusata. Per questo le militanti femministe vogliono mostrare, una volta per tutte, quello che succede nelle aule dei tribunali durante un processo per stupro.

 

Le arringhe degli avvocati difensori dei quattro stupratori

«Vi esprimo intanto il mio disagio, derivante dalla mia scarsa dimestichezza con le ideologie. Anzi dalla mia antipatia per le ideologie (…). Le ideologie creano non dico delle impostazioni fanatiche, ma delle impostazioni preconcette: si mescola un caso particolare con quello che si crede un caso generale. Ora: figuriamoci questa ideologia femminista. Vi confesso che pensiamo e parliamo sempre delle donne, siamo pazzi delle donne, le abbiamo sempre rispettate (l’avvocato Giorgio Zeppieri ride, ndr). Ci alziamo in tram e offriamo il posto, le consideriamo con discrezione, non facciamo confidenze se qualcuna di loro in un momento di distrazione ci concede i suoi favori. Le stimiamo per questo. Di più: non disprezziamo affatto la prostituzione che in tempi lontani e anche vicini ci può aver visto partecipi di momenti di piacere. Che è questo odio? Repressivo, questo giudizio, contro chi dedica la sua vita a dare piacere agli altri. (…)

Questa ragazza che non versa in floride condizioni economiche ha degli amici amanti: lo so, non c’è amore, non c’è innamoramento, c’è consuetudine al piacere, c’è amicizia dei sensi (…). Questa ragazza ha reagito con la sua generosità romanesca, ha inventato la sua storia, ha portato la sua accusa e poi adesso viene in udienza sull’incrociatore del femminismo, con tutte le bandiere al vento. E chi la ferma più.

L’altra volta, quando facemmo l’altro processo, tutte queste signorine facevano le fighe (inquadrano un uomo che fa il gesto femminista, ndr). E che dice oggi la gentile avvocatessa Lagostena? “La presenza delle donne condizionerà gli avvocati”. Può talvolta condizionare gli avvocati perché a priori noi siamo brutali, anzi come ha detto l’avvocatessa, “commettiamo delle violenze psichiche, delle violenze verbali”: violenze verbali…io parlo in latino per alludere agli organi sessuali. Ma qui si stanno rovesciando i termini, qua ci violentano se non stiamo attenti! (ride, ndr).

Signori, una violenza carnale con fellatio può essere interrotta con un morsetto: passa immediatamente la voglia a chiunque di continuare e l’atto quindi mal si coniuga con l’ipotesi della violenza, anzi è incompatibile: tutti e quattro avrebbero incautamente abbandonato nella bocca della loro vittima il membro, parte che, per antonomasia, viene definita delicata. Il coito orale si compie con una prestazione che è tecnicamente qualificata e che esprime una serie di atti voluti perché non c’è attività tecnica se non c’è volontà. Ah sì, mi posso abbandonare, ma io lì non mi abbandono: sono io che posseggo. Il possesso è stato esercitato dalla ragazza sui maschi, dalla femmina sui maschi: è lei che prende, è lei la parte attiva. Loro sono passivi, inermi. Abbandonati nelle fauci avide di costei (…)

Ma la signorina che cosa pratica con il Vallone di cui era è l’amante e l’amica amorosa? Si fa praticare il cunnilingus e il suo amico amoroso che si inginocchia davanti a lei e la bacia teneramente su quella che il divino Gabriele (Gabriele D’Annunzio, ndr) chiama “la seconda e più trepida bocca” da cui sugge il piacere di lei. Quindi, che cosa è il cunnilingus? È più che l’amore, è l’adorazione sessuale. E tende al piacere della femmina. E chi la pratica? Il violentatore? È il violentatore che si inchina, bacia, adora? (…) È l’amante che può fare questi gesti.  (…)

Bene, il Vallone inizia con un cunnilingus: lungo, penetrante, suggestivo e suadente. Quindi il rapporto fra tutti non ha inizio con uno schiaffo: ha inizio con il più penetrante atto d’amore per l’uomo e per la donna, un atto in cui c’è sessualità, adorazione e anche rispetto. Sì, anche rispetto. Tutto ciò è incompatibile con la violenza carnale. La violenza carnale è il contrario della sessualità, la violenza è nient’altro che una voglia insana e demoniaca di calpestare il proprio simile, un altro essere umano, e non c’è umiliare, non c’è quasi mai desiderio, non c’è quasi mai piacere. Poi noi abbiamo fatto il processo del Circeo: e che abbiamo scoperto… eh, lì c’è una violenza sessuale chiarissima. Io sono un difensore, l’ho ammesso allora e lo riammetto adesso: c’era l’impotenza signor giudice! C’era l’impotenza dei violentatori».

«Vedete, signor presidente, la collega è stata brava. Però ha fatto dei rilanci (…) in principio mi è sembrato di ascoltare uno di quei tanti comizi: ha detto “noi vogliamo giustizia. La violenza…” … La violenza purtroppo  c’è sempre stata. La violenza la subiscono gli uomini e la subiscono le donne: è di pochi giorni la notizia di un uomo che è stato violentato a Napoli da due donne. Dopo che l’hanno drogato. Dovremmo insorgere? Dovremmo insorgere?? E sapete con che violenza è stato lui violentato (scusate il bisticcio)? Lo hanno portato nella bella pineta di Caserta, lo hanno drogato, lo hanno trovato esanime, con il membro sempre in una certa posizione, con il membro sempre eretto. Eh, erano due allupate!

Hanno voluto questo. Purtroppo il mondo è così: è bello perché è vario.  E quindi non facciamo, non cominciamo col dire… le violenze le subiscono tutti! Non le subiamo noi? Non le subiamo anche da parte delle nostre mogli? E come, non le subiamo? Io oggi per andare fuori ho dovuto portare due testi con me, l’avvocato  Mazzuca e l’avvocato Sarandrea, testimoni che andavo a pranzo con loro, se no non uscivo di casa! Non è una violenza psichica quella? Eppure mia moglie mica mi mena. È vero che siete testimoni? Siete testi?

E allora signor presidente che cosa abbiamo voluto, che cosa avete voluto?  La parità di diritti? Avete cominciato a scimmiottare l’uomo! Voi portavate la veste: perché avete voluto mettere i pantaloni? Avevate cominciato con il dire “avevamo parità di diritto”. Avevate cominciato con il dire “perché io alle nove di sera devo stare a casa, mentre mio marito, il mio fidanzato, mio fratello, mio nonno, il mio bisnonno vanno in giro?”. Vi siete messe voi in questa situazione! Non l’abbiamo chiesto noi questo! E  allora purtroppo ognuno raccoglie i frutti che ha seminato! Se questa ragazza si fosse stata a casa, l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente!

(Il giudice li invita ad attenersi ai fatti)

… e non ha parlato di femminismo, signor Presidente? E allora dobbiamo ammainare pure questo adesso? Il femminismo già comincia a fare strada anche nel campo della difesa. Quindi la violenza la subiamo noi!»

 

L’arringa finale dell’avvocata Lagostena Bassi

«Noi donne siamo presenti a questo processo: prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula ed io che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. Cosa significa la nostra presenza? Noi chiediamo giustizia, non una condanna esemplare, non ci interessa la condanna, noi vogliamo che in quest’aula ci sia resa giustizia. Ed è una cosa diversa. Che cosa intendiamo quando chiediamo giustizia come donne? Che anche nelle aule dei tribunali e attraverso ciò che avviene nelle aule dei tribunali si modifichi quella che è la concezione socioculturale del nostro paese, che si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto (…).

Devo purtroppo ancora prendere atto, e mi scusino i colleghi, che (…) la difesa dei violentatori considera le donne come soli oggetti, con il massimo disprezzo. E vi assicuro: questo è l’ennesimo processo che io faccio ed è come al solito la solita difesa che io sento. (…) Io mi auguro di riuscire ad avere la forza di sentirli, non sempre ce l’ho, lo confesso, e mi auguro di non dovermi vergognare come donna e come avvocato per la toga che tutti insieme portiamo. La difesa è sacra ed inviolabile, è vero, ma nessuno di noi avvocati si sognerebbe di impostare una difesa per rapina così come si imposta un processo per violenza carnale. Nessun avvocato, nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrino in una gioielleria e portano vie le gioie, si sognerebbe di cominciare la difesa (…) dicendo che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, che in fondo ha commesso reati di ricettazione, che è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse. Ecco: nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto.

(…) Se invece che quattro oggetti d’oro “l’oggetto” del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi constante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza: se si fa così è solidarietà maschilista perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale.

(…) Una donna ha diritto di essere quello che vuole e io non sono il difensore della donna Fiorella, io sono l’accusatore di un certo modo di fare i processi per violenza. Ed è una cosa diversa.

(…) Ma chi ha mai detto che occorre la pistola, che occorrono le botte? Nel medioevo sì, vis grata pueallae. (…) Nel 1977-78 i costumi sono diversi: se una donna vuole andare con un ragazzo ci va e non si parla di vis grata puellae. A nome di Fiorella e a nome di tutte le donne, molte sono, questo io vi chiedo: giustizia. Rendete giustizia a Fiorella e attraverso la vostra sentenza voi renderete giustizia a tutte le donne: anche a quelle che vi sono più vicine, anche a quelle che per disgrazia loro sono vicine agli imputati.

(…) Per quanto attiene al risarcimento già vi ho detto: una lira per Fiorella, per questa ragazza così venale che andava con uomini per soldi e sulla quale butterete fango a piene mani. Bene: questa ragazza vuole una lira e vuole che la somma ritenuta di giustizia sia devoluta al centro contro la violenza sulle donne: perché le violenze siano sempre di meno, perché le donne che hanno il coraggio di rivolgersi alla giustizia siano sempre di più».

«Quello che è successo qua dentro si commenta da solo ed è il motivo per cui migliaia di donne non fanno le denunce, non si rivolgono alla giustizia. Due cose mi hanno indotto a farlo: un senso di correttezza nei confronti di Fiorella e una cosa che non entra nel processo, ne dò atto, lo dico per onestà: ho letto sul giornale di un’ulteriore violenza a una ragazza di 17 anni (…), sordomuta, che è stata molto malmenata perché forse ha fatto quella resistenza che qui si nega. Io mi chiedo: quale sarebbe stata la reazione? Sono quattro uomini. Certo: uno può dare un morsico e può rischiare la vita e l’avrebbe rischiata. E ognuna delle donne ricorda quello che è successo a chi ha cercato di ribellarsi alla violenza. Ed ecco che violenza vi è anche senza una reazione di questo tipo».

 

La sentenza

Rocco Vallone, Cesare Novelli e Claudio Vagnoni vengono condannati a un anno e otto mesi di reclusione; Roberto Palumbo a due anni e quattro mesi. A tutti e quattro gli imputati viene concessa la libertà condizionale, per cui vengono immediatamente rilasciati. Il risarcimento dei danni viene calcolato in due milioni di lire.

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