“A noialtri napoletani, toglieteci tutto ma questo poco di riposo in terrazza…
Io, per esempio, a tutto rinuncerei tranne a questa tazzina di caffè, presa tranquillamente qua, fuori in terrazza, dopo quell’oretta di sonno che uno si fa dopo mangiato.
Però il caffè me lo devo fare io stesso, con le mie mani. Questa è una macchinetta per quattro tazze, ma se ne possono ricavare anche sei, e, se le tazze sono piccole, anche otto… quando vengono gli amici… d’altra parte il caffè costa così caro…
[Sembra ascoltare… poi riprende]
Mia moglie queste cose non le capisce È molto più giovane di me, sapete, e la nuova generazione ha perduto queste abitudini che, secondo me, sotto un certo punto di vista, sono la poesia della vita; perché, oltre a farvi occupare il tempo, vi ;danno pure una certa serenità di spirito. Nessuno potrebbe mai prepararmi un caffè come me lo preparo io, con lo stesso zelo… con la stessa cura… Capirete che, dovendo servire me stesso, seguo le vere esperienze e non trascuro niente…
Sul becco… lo vedete il becco?
[Prende la macchinetta in mano e indica il beccuccio della caffettiera]
Qua, professore, dove guardate? Questo…
[Sembra ascoltare]
Vi piace sempre di scherzare… No, no… scherzate pure… Sul becco io ci metto questo cappellino di carta…
[Lo mostra]
Sembra niente, ma questo cappellino ha la sua funzione… E già, perché il fumo denso del primo caffè che esce, che poi è il più carico, non si disperde.
Come pure, professore, prima di versare l’acqua, bisogna farla bollire per tre o quattro minuti, per lo meno, prima di versarla, vi dicevo, nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata. Un piccolo segreto ! In modo che, nel momento in cui sale, l’acqua, in pieno bollore, già si aromatizza per conto suo.
Professore, anche voi vi divertite qualche volta, perché, spesso, vi vedo fuori in terrazza che fate la stessa cosa.
[Sembra ascoltare un discorso]
Sì, sì anch’io. Anzi, siccome, come vi ho detto, mia moglie non collabora, me lo tosto da me…
[Ascolta]
Anche voi, professore?… Fate bene… Perché, quella, poi, è la cosa più difficile: indovinare il punto giusto di cottura, il colore…: color “manto di monaco”. È una grande soddisfazione, ed evito pure di arrabbiarmi, perché se, per una dannata combinazione, per una mossa sbagliata, sapete… vi scappa di mano la cuccuma…e si mescola il caffè con i fondi insomma, viene uno schifo… siccome l’ho fatto con le mie mani e non posso prendermela con nessuno, mi convinco che è buono e me lo bevo lo stesso.
Professore , il caffè è pronto.
[Riempie la tazzina da caffè]
Ne volete un po’… Grazie.
[Beve]
Accidenti, questo si che è un caffè… Vedete quanto ci vuole poco per rendere felice un uomo: una tazzina di caffè presa, tranquillamente, qui fuori… con un simpatico dirimpettaio… perché voi siete simpatico, professore…
[Continua a bere]
Adesso mezza tazzina la conservo, e me la bevo tra una sigaretta e l’altra.
[Accende la sigaretta. Poi sembra ascoltare una domanda]
Come?… Non ho capito.
[Ascolta ancora]
Aaah… sì, sì… Niente, professore l’avevo detto : sciocchezze. Non ho mai creduto a questo genere di cose, sennò non ci sarei venuto ad abitare.”
Eduardo De Filippo, da “Questi fantasmi”, commedia in tre atti del 1945