“Tutto ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde hanno per l’immagine e l’allegoria perfino dell’odio…un tale uomo riservato, che istintivamente si serve delle parole per tacere e per celarle ed è inesauribile nello sfuggire alla comunicazione, vuole ed esige che al suo posto erri nei cuori e nelle menti dei suoi amici una maschera; e anche ammesso che egli non voglia tutto questo, un bel giorno gli si spalancheranno gli occhi sul fatto che a onta di ciò v’è laggiù una sua maschera – e che è bene che le cose stiano a questo modo. ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera; e più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera, grazie alla costantemente falsa, cioè superficiale interpretazione di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà”.
Friedrich Nietzsche, “Lo spirito libero”, da “Al di là del bene e del male”, 1886
“Quante maschere e sottomaschere noi indossiamo
Sul nostro contenitore dell’anima, così quando,
Se per un mero gioco, l’anima stessa si smaschera,
Sa d’aver tolto l’ultima e aver mostrato il volto?
La stessa maschera non si sente come una maschera
Ma guarda di fuori di sé con gli occhi mascherati.
Qualunque sia la coscienza che inizi l’opera
Sua, fatale e accettata sorte è l’ottundimento.
Come un bimbo impaurito dall’immagine allo specchio
Le nostre anime, fanciulle, rimangono disattente,
Cambiano i loro volti conosciuti, e un mondo intero
Creano su quella loro dimenticata causa;
E, quando un pensiero rivela l’anima mascherata
Esso stesso non va a smascherare da smascherato.
Fernando Pessoa, da “Trentacinque sonetti”
“Con uno sforzo supremo cerchiamo allora di riacquistar la coscienza normale delle cose, di riallacciar con esse le consuete relazioni, di riconnetter le idee, di risentirci vivi come per l’innanzi, al modo solito. Ma a questa coscienza normale, a queste idee riconnesse, a questo sentimento solito della vita non possiamo più prestar fede, perché sappiamo ormai che sono un nostro inganno per vivere e che sotto c’è qualcos’altro, a cui l’uomo non può affacciarsi, se non a costo di morire o d’impazzire. È stato un attimo; ma dura a lungo in noi l’impressione di esso, come di vertigine, con la quale contrasta la stabilità, pur così vana, delle cose: ambiziose o misere apparenze. La vita, allora, che s’aggira piccola, solita, fra queste apparenze ci sembra quasi che non sia più per davvero, che sia come una fantasmagoria meccanica. E come darle importanza? come portarle rispetto?
Oggi siamo, domani no. Che faccia ci hanno dato per rappresentar la parte del vivo? Un brutto naso? Che pena doversi portare a spasso un brutto naso per tutta la vita… Fortuna che, a lungo andare, non ce n’accorgiamo più. Se ne accorgono gli altri, è vero, quando noi siamo finanche arrivati a credere d’avere un bel naso; e allora non sappiamo più spiegarci perchè gli altri ridano, guardandoci. Sono tanti sciocchi! Consoliamoci guardando che orecchi ha quello e che labbra quell’altro; i quali non se n’accorgono nemmeno e hanno il coraggio di ridere di noi. Maschere, maschere… Un soffio e passano, per dar posto ad altre. Quel povero zoppetto là… Chi è? Correre alla morte con la stampella… La vita, qua, schiaccia il piede a uno; cava là un occhio a un altro… Gamba di legno, occhio di vetro, e avanti! Ciascuno si racconcia la maschera come può — la maschera esteriore. Perché dentro poi c’è l’altra, che spesso non s’accorda con quella di fuori. E niente è vero! Vero il mare, sì, vera la montagna; vero il sasso; vero un filo d’erba; ma l’uomo? Sempre mascherato, senza volerlo, senza saperlo, di quella tal cosa ch’egli in buona fede si figura d’essere: bello, buono, grazioso generoso, infelice, ecc. ecc. E questo fa tanto ridere, a pensarci.”
Luigi Pirandello, da “L’umorismo”, 1908
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Immagine in evidenza: Oreste da Molin, “Gli uomini”, 1910