Avevo avuto già altri due umani. Il primo lo trovai per strada. Era spaventato e affamato. Mi fece una tale pena che lo portai con me, nonostante sapessi benissimo che Molly si sarebbe imbestialita. Era vecchiotto, la pelle appesa e rugosa, e visse con noi più di quanto immaginassi. Charlie lo adorava. Era dolce e bisognoso di cure. Troppe forse. A un certo punto cominciò a rantolare e pisciare per tutta la casa. Capii che era vicino alla fine, così lo feci sopprimere. Non fu semplice: ci si affeziona sempre a queste bestie.
Il secondo lo prendemmo dall’umanile. Lessi l’annuncio dei volontari: un’umana era morta dopo averlo partorito e si cercava qualcuno disponibile all’adozione. Era una femmina, incantevole. Una deliziosa polpettina! Purtroppo morì di ipotermia, dopo poche settimane. La trovai una mattina stecchita nella sua cuccetta. Sotterai il cadaverino prima che Charlie potesse vederlo. Quando mi domandò dove fosse finita, gli risposi che era scappata, ma non mi credette, si mise a guaire e a piangere a dirotto.
Perciò, in accordo con Molly, presi una decisione: Mai più umani!
E poi mi chiamò Spot. Voleva vendermi un umano eccezionale, a suo dire. Gli dissi che non se ne parlava nemmeno, ma lui instette. Mi spiegò che era un maschio, svedese, e che mi avrebbe fatto un prezzo da amico. Mi convinse e andai a dargli un’occhiata, senza grosse aspettative.
Spot ha un allevamento di umani di razze selezionate, le migliori sul mercato. Gli africani sono esemplari bellissimi, di sicuro i più massici e potenti. Sono ottimi umani da guardia e utili anche per certi lavori più pesanti. Solo che il loro odore mi dà noia, anzi non lo sopporto. Gli asiatici invece non mi piacciono esteticamente, sono i più gracili e hanno occhi strani, inquietanti. Preferisco senza dubbio gli europei, con i loro capelli brillanti, la pelle bianchissima, anche se si sporcano subito e sono complicati da pulire e lavare. Le femmine di solito vincono tutti i concorsi di bellezza. Spot dice che gli anglosassoni vanno ancora per la maggiore. Tra questi, però, i tedeschi sono i più forti e intelligenti, almeno secondo vari studi. Qualcuno – ora non ricordo chi – ha detto che sarebbero addirittura la razza umana superiore. Anche gli slavi non sono niente male. Belli e resistenti al freddo, ho sempre desiderato averne uno. Ma non mi dispiacciono neppure i mediterranei. D’accordo, sono più scuri di pelle, pare che siano anche piuttosto litigiosi e possessivi, e magari non avranno il carattere degli anglosassoni, ma restano comunque dei gran begli umani.
Spot mi mostrò questo fantomatico svedese. Niente da dire: fascinoso, lunghi capelli biondi, robusto, ma… aveva un’aria da stupido.
Senza volerlo, il mio sguardo penetrò le sbarre della gabbia accanto incrociandosi con un altro fulgido e tagliente. Quegli occhi gelidi e puri mi ammaliarono.
Era un giovane tedesco. Se ne stava seduto a fissarmi. Ebbi l’impressione che mi stesse scandagliando l’anima, che di quella avesse fiutato la parte più profonda e oscura, la più bestiale, simile alla sua. Dicono che alcuni di questi animali abbiano sensibilità e intuito eccezionali, poteri sovrannaturali. Non so. Confesso però che quel suo scrutarmi mi intimorì non poco.
A ogni modo, fu amore a prima vista. Ma il tedesco era già venduto. Per convincere Spot glielo pagai il doppio di quello che costava.
Saputo il prezzo, Molly abbaiò dicendomi che ero un imbecille. Non appena vide l’umano, Charlie gli corse incontro scodinzolando. Voleva chiamarlo Lessie, come il suo attore preferito. Ma è un nome da cani, che non si addice a un umano. Così decidemmo insieme di chiamarlo Wotan.
Lo ammetto: portarlo a spasso mi inorgogliva. Incedeva fiero, sprezzante. Gli altri cani si fermavano per vederlo sfilare. Facevano complimenti. Alcuni lo leccavano persino. Io non lo farei mai, mi disgusta.
Era dotato di un’intelligenza che lo rendeva particolarmente reattivo e scaltro. Era ubbidiente, ma soprattutto tenero e protettivo coi cuccioli. Con Charlie ci dormiva nel letto, malgrado i rimproveri di Molly, che lo riteneva poco igienico. L’unica rogna – per così dire – era che Wotan era sempre in calore. Se notava una giovane femmina doveva possederla a tutti i costi, impazziva! Per sfogarsi impiastricciava cuscini e tappeti. Molly lo puniva, voleva farlo castrare, ma non ero d’accordo. È una pratica che inibisce gli istinti e la natura di queste bestie. Così mi preoccupavo di farlo accoppiare periodicamente. Certo, Molly era dura con Wotan, ma sotto sotto gli voleva tanto bene. Era ormai parte della nostra famiglia.
Non dimenticherò mai l’ultimo compleanno di mio figlio.
Finito di pranzare, Charlie afferrò il pallone e chiamò Wotan per seguirlo a giocare in giardino, ma glielo proibii. Avevo lavato Wotan proprio quella mattina, gli avevo tagliato perfino le unghie, era lindo e profumato. Perfetto. Charlie cominciò a gagnolare e a supplicarmi con quei suoi lucidi occhioni. A dargli man forte arrivò anche Molly, dicendo che d’altronde era pur sempre il suo compleanno. Mi arresi. Charlie mi saltò in grembo, tutto eccitato, e mi leccò il muso.
Ero sul divano, appesantito dal pranzo. Accesi la tv, ma solo per aiutarmi a conciliare il sonno: ho da sempre l’abitudine di schiacciare un pisolino dopo mangiato. Stavo guardando un programma in cui si parlava di alimentazione. Il presentatore stava intervistando un medico che consigliava di eliminare i croccantini dalla dieta e sostituirli piuttosto con del cibo naturale.
Dalla finestra aperta arrivavano i versi rauchi di Wotan e la voce di Charlie che lo incitava a prendere la palla. Quando abbaiava me lo immaginavo a correre scodinzolando. Molly invece era dietro di me. I fastidiosi tintinnii mi fecero intuire che era ancora indaffarata a sistemare la cucina.
Nonostante tutti quei rumori, provai a isolarmi e ad ascoltare solo il mio respiro che pian piano diveniva sempre più grave. Sbadigliai e scivolai nel dormiveglia che poco dopo mi condusse in un sonno quieto e avvolgente.
Furono i latrati assordanti di Molly a svegliarmi. Provenivano da fuori. Corsi in giardino e una volta lì fui colto dalla disperazione. Molly latrava tremante in direzione di Charlie e Wotan. L’umano era sopra di lui e lo stava strangolando. Charlie non riusciva neppure a guaire. Vidi le sue piccole fauci spalancate, bagnate da una copiosa bava bianca. Ero impietrito. Zampillai addirittura qualche goccia di urina. Poi qualcosa mi spinse ad avventarmi contro Wotan, che fu costretto a mollare la presa e liberare Charlie. Rotolammo l’uno sull’altro finché mi ritrovai schiena a terra e con Wotan a cavalcioni su di me.
Ci fissammo negli occhi. Nei suoi, azzurri e freddi, si era scatenata una furia che non appartiene agli animali. Un sentimento che andava oltre la violenza e l’istinto di sopravvivenza. Poi capii e in quel preciso istante percepii tutto il suo odio. La sua volontà di uccidermi.
Cominciò a prendermi a pugni sul muso. Cercavo di mordergli la mano, ma lui era più rapido e forte. Mi schiacciava col peso del suo corpo impedendomi così anche di respirare. All’improvviso, alle sue spalle, vidi comparire Molly che lo colpì con una scopa. Non gli procurò alcun danno, ma in compenso riuscì a distrarlo. Ne approfittai per mordergli il polso. Wotan emise un verso che mi squarciò i timpani. Me lo scrollai di dosso facendolo cadere e, senza dargli tregua, gli addentai il collo affondando i canini con tutta la mia forza. Presto avvertii il suo sangue invadermi la bocca. Lo assaporai e mi piacque. Gli strappai un pezzo di carne e, anziché sputarlo via, lo masticai e lo ingoiai.
Gli avevo reciso la carotide, morì dissanguato.
Charlie però era ancora vivo.
Quella notte non dormii. Riflettevo e avevo paura. Per la prima volta in vita mia mi ero sentito una belva. Un umano.
Ma cos’altro avrei potuto fare?
Matteo Romano – Fonte: Rivista Blam