Affabulazioni

Mio padre, Fabrizio De André

21.03.2023
«Una delle cose che più ammiravo di mio padre era il fatto che aveva sempre avuto pochissime idee, ma, in compenso, fisse. Si metteva in testa di fare delle cose impossibili da realizzare e nessuno riusciva mai a fermarlo.
Un esempio è questa storia.
Quando avevo tre anni, prima di trasferirci in Sardegna, andavamo in una campagna ligure, vicino Genova, che si chiamava Savignone, che era una campagna come tantissime altre (bella, con i ruscellini, gli alberi, gli animali); solo che l’unica particolarità era che, negli orti, crescevano i pomodori, le zucchine, le melanzane. Insomma, di tutto, ma i peperoni, no. Questo, per via del fatto che il sole tramontava lì qualche minuto prima.
E, allora, cosa fa lui? Prende una casetta molto bella, per lui, me e mia madre e fa un orto gigantesco, un orto enorme e, lì, pianta cinquecento piante di peperoni, e si mette in competizione con i contadini del posto che arrivavano lì e dicevano: “Ma, Fabrizio, siamo nati qui. I peperoni, qua, non crescono. Vai più giù a tre chilometri, a Crocefieschi e lì, trovi i peperoni.” E lui: “No, non vi preoccupate”.
Insomma, pianta questi peperoni. Il primo anno, niente. Il secondo anno, niente. Il terzo anno (io avevo cinque anni), sbuca un peperone su cinquecento piante.
Non potete immaginare la gioia di mio padre. Allora, prepara immediatamente un altarino e mette dei fari per poterlo scaldare, e lui girava nell’orto con un saio bianco, sembrava Gesù Cristo.
I contadini, saputo tutto, arrivavano là e dicevano meravigliati: “Ma, Fabrizio, ma che bravo! Ma come hai fatto?”. E lui rispondeva, malizioso: “Eh, ho usato un concime, ma non vi dico quale. Insomma, va avanti e, nel giro di una settimana, questo peperone diventa grande come un indice.
Un pomeriggio, sento un urlo atroce dall’orto: “ARGH!”. Immediatamente, andiamo tutti giù di corsa a vedere e il peperone era morsicato. Gli mancava la punta. Bèlin! Una tragedia! Il peperone! Quale insetto può mangiare un peperone, che era già di un indice, quindi, abbastanza grosso.
Allora, si tolgono di mezzo tutti gli insetti piccoli e si parte dai coleotteri rosa in su. Arrivano anche degli esperti da tutta Italia, ma anche dalla Francia, che iniziano a tastare le cose, ma non scoprono nulla.
Questo calvario va avanti una settimana, o dieci giorni, finché un giorno, vado da mio padre (ero dispiaciuto nel vederlo così abbattuto), e lui mi mostra questo peperone appassito, straziato. Io ero seduto sulla scala dell’orto, a guardare questo peperone appassito, e mio padre pensava ancora.
A un certo punto, alza gli occhi e mi vede. Riguarda il peperone. Mi riguarda. Riguarda il peperone. Mi guarda ancora. Riguarda il peperone. Poi, alla fine, mi dice: “Sarai mica stato tu?”. E io gli rispondo: “Ma non mi picchi?”. Ero stato io! Avevo morsicato io quel peperone. Mi ha inseguito fino a Genova. Sembravamo Paperon De Paperoni e Paperino, con le eliche “Gniiiiiiii!”. M’ha suonato di brutto. Era la prima volta, in assoluto, che le prendevo da mio padre.
Insomma, dopo tre anni che senti parlare di peperoni, la faccenda ti incuriosisce un po’. Allora, un giorno, vado nell’orto e me lo ritrovo lì, così l’avevo mangiato, ma, ovviamente, faceva schifo e l’ho sputato via. Ho nascosto la punta e lasciato il resto sotto la pianta. Il resto è storia».
Cristiano De André

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