Affabulazioni

Variazioni sul comico

16.07.2023

Comico patetico

«Di due possessi i coniugi Dillingham erano profondamente orgogliosi. Uno era l’orologio d’oro di Jim, che era stato di suo padre e del padre di suo padre. L’altro era la chioma di Della.»
Erano poverissimi i due giovani Dillingham protagonisti del racconto “Il dono dei Magi” di O. Henry.
Ognuno dei due vuole fare all’altro, a sorpresa, il regalo di Natale, ma né l’uno né l’altro ha soldi da spendere. La prima mossa è quella di Della che vende la sua lunga chioma per comprare una catenella d’oro per l’orologio di Jim. Ed ecco che scatta il primo movimento comico quando Jim, per comprare il regalo per Della, vende l’orologio d’oro e così si scopre che il regalo di Della cadrà nel vuoto. Ma subito scatta il secondo movimento quando Jim compra per Della una bellissima serie di pettini da mettere nei capelli, che ormai sono troppo corti. Ci sarà da ridere o da piangere al momento delle reciproche sorprese e delusioni?

Comico soggettivo

Racconta Šklovskij (“Il punteggio di Amburgo”) che in una casa di Amburgo suonavano sul mandolino Eterna memoria, una celebre marcia funebre, e che in una stanza c’era gente che piangeva mentre in una stanza attigua altri ballavano al suono della stessa musica. Dunque una musica, un gesto, un discorso, un atteggiamento, può provocare nello stesso tempo il riso o il pianto. Dunque il riso come fenomeno del tutto soggettivo? Il comico come segno invertibile? In una sala di gente che ride andremo alla ricerca di una persona che piange. E questa non sarà l’eccezione che conferma la regola, ma la coincidenza degli opposti annidata nei meccanismi segreti del comico.

Comico triste

Se non fa ridere, il buffone viene percosso. Il riso può essere una condanna o un supplizio per lui. Più di una volta gli spettatori gli hanno tirato in testa gli zoccoli e il buffone ha dovuto ritirarsi dalla scena con la testa sanguinante. Il sangue non è comico, anche se dal comico al tragico il passo è breve.
È nota la ipocondria privata del buffone, la sua vocazione alla infelicità, all’avarizia, al suicidio. Quando il buffone muore, del riso non rimane traccia, perché la memoria non trasmette il riso. Nessuno ride più alla memoria di Petrolini. Nella memoria il riso può addirittura provocare il pianto:
«Un povero spettro sono di giorno, di notte la mia vita si ridesta, allora io sogno la mia bella donna, ella mi siede accanto e ride. Che riso sano, felice, folle, con i denti cosi bianchi! Se penso a quel riso, scoppio subito in lacrime» (Heinrich Heine, “Gli dèi in esilio”).

Comico contraddittorio

Alla fine del film “La febbre dell’oro”, Charlot, diventato ormai ricchissimo, cammina per la strada, vede in terra un mozzicone di sigaro e istintivamente, dimenticando per un momento di essere ricco, lo raccoglie per fumarlo. Una distrazione, cioè una deviazione dalla norma della ricchezza, scatena il comico che è insieme di situazione (povero-ricco), di sorpresa (uno svolgimento dell’azione in senso contrario al previsto), di accelerazione (rispetto al gesto rituale della accensione del sigaro). I tempi del comico qui sono «concentrati» in un tempo unico, in un unico gesto che comprende tempi diversi (la condizione anteriore, la condizione attuale, la nuova situazione che non cancella il tempo passato ma lo congloba nel presente e perciò li riassume in un «unicum» contraddittorio). Contrazione e contraddizione. La contraddizione, che è al centro di questa scenetta, può essere dunque un elemento primario del comico.

Comico accelerato

I fratelli Marx e Ridolini sono pura accelerazione, i fili elettrici sono scoperti e danno la scossa non soltanto ai protagonisti ma a tutta l’azione (anche le automobili corrono più veloci in un film di Ridolini). Tutto è elettrizzato e l’accelerazione comunica allo spettatore un moto di adeguamento al ritmo dello spettacolo, una «corsa interna» (diciamo pure «interiore») provocata dalla elettricità che a sua volta provoca il riso: una leggera scossa elettrica è come il solletico, fa ridere (ma ancora una volta il tragico è contiguo al comico perché una forte scossa elettrica non provoca più il riso ma la morte). Anche i burattini per provocare il riso si muovono in accelerazione, a scatti, come si suol dire «alla Ridolini» (ma in realtà è Ridolini che si muove a scatti come i burattini, che sono molto più antichi di lui).

Comico crudele

Alla fine del primo capitolo del Lazarillo de Tormes il giovane protagonista si esibisce in un gesto che si può considerare un esempio estremo di comico crudele. Il cieco di cui Lazarillo è al servizio lo ha punito a sangue per il furto di una salsiccia e il ragazzo vuole vendicarsi. Piove a dirotto nella città di Escalona dove si trovano e i due decidono di raggiungere prima del buio la locanda dove alloggiano, ma devono superare un ruscello che si è ingrossato per la pioggia. Lazarillo fa un salto e passa dall’altra parte. Ora tocca al cieco che deve saltare a sua volta. Il ragazzo lo conduce di fronte a un pilastro di pietra dicendo che quello è il punto dove la corrente è più stretta e raccomanda al cieco di saltare con una gran spinta se vuole passare dall’altra parte senza bagnarsi i piedi. Il cieco prende la rincorsa e si lancia sopra al ruscello nel punto indicato da Lazarillo e naturalmente va a sbattere con violenza la testa contro il pilastro di pietra. Il ragazzo abbandona il vecchio cieco con la testa sanguinante e parte per nuove avventure.
Nell’ordine del comico vuole essere compresa anche la vendetta malvagia di Lazarillo, ma il riso che suscita è il riso più crudele che possiamo immaginare.

Il comico idiota

«È strano. Un fondo di colore, qualche sgorbio bianco, un costume da pagliaccio: quanto poco basta a fare di un uomo un nulla!» Così Henry Miller in Il sorriso ai piedi della scala.
L’amato clown. Suo privilegio ripetere gli errori, le sciocchezze, tutte le balordaggini che affliggono quotidianamente il genere umano. Essere l’essenza della fatuità: e ci riesce anche il più mentecatto dei fantocci pure se non ha le orecchie d’asino e i campanelli al berretto come nella antichità classica. Non capire quel che è chiaro come la luce del giorno. Non coglierne il senso anche se il gesto gli viene ripetuto mille volte. Ciondolare come un cieco quando tutti i segnali indicano la direzione giusta. Insistere nell’aprire la porta sbagliata anche se sopra c’è scritto Attenzione! Pericolo! Sbattere il capo nello specchio invece di girarci attorno. Guardare dentro la canna di un fucile carico. La gente di queste assurdità non si stanca mai, per millenni l’umanità ha percorso strade sbagliate, perché per millenni gli interrogativi e le ricerche dell’umanità sono scivolate nella palude delle mezze verità. L’artista del fatuo ha per campo d’azione il tempo, tutto il tempo a misura d’uomo. Solo davanti all’eterno si dà per vinto.
La grande attrazione che il clown ha sempre esercitato sul pubblico deriva dal fatto che è separato dal mondo per mezzo del comico e perciò propone comunque una vacanza. Il clown non pretende una risata omerica, rumorosa. Si tratta di un riso silenzioso che noi per convenzione definiamo triste. Il clown ci insegna a ridere di noi stessi, sotto specie comica interpreta l’uomo con tutti i suoi infantilismi. Ed è un riso che segretamente nasce dalle lacrime.
Il circo è un breve spazio d’oblio separato dal resto del mondo. In quanto spazio chiuso ci offre la possibilità di perderci, di dissolverci nello stupore e nella ebete beatitudine.

Luigi Malerba, da “Strategie del comico”, 2018

 

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Nell’immagine: Umberto Boccioni, “La risata”, 1911

 

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