Affabulazioni

Il principe granchio

31.08.2023
Una volta c’era un pescatore che non riusciva mai a pescare abbastanza da comprare la polenta per la sua famigliola. Un giorno, tirando le reti, sentì un peso da non poterlo sollevare, tira e tira ed era un granchio così grosso che non bastavano due occhi per vederlo tutto.
– Oh, che pesca ho fatto, stavolta! Potessi comprarmici la polenta per i miei bambini!
Tornò a casa col granchio in spalla, e disse alla moglie di mettere la pentola al fuoco che sarebbe tornato con la polenta. E andò a portare il granchio al palazzo del Re.
– Sacra Maestà, – disse al Re, – sono venuto a vedere se mi fa la grazia di comprarmi questo granchio. Mia moglie ha messo la pentola al fuoco ma non ho i soldi per comprare la polenta.
Rispose il Re: – Ma cosa vuoi che me ne faccia di un granchio? Non puoi andarlo a vendere a qualcun altro?
In quel momento entrò la figlia del Re : – Oh che bel granchio, che bel granchio! Papà mio, compramelo, compramelo, ti prego. Lo metteremo nella peschiera insieme con i cefali e le orate.
Questa figlia del Re aveva la passione dei pesci e se ne stava delle ore seduta sull’ orlo della peschiera in giardino, a guardare i cefali e le orate che nuotavano. Il padre non vedeva che per i suoi occhi e la contentò. Il pescatore mise il granchio nella peschiera e ricevette una borsa di monete d’ oro che bastava a dar polenta per un mese ai suoi figlioli.
La Principessa non si stancava mai di guardare quel granchio e non s’allontanava mai dalla peschiera. Aveva imparato tutto di lui, delle abitudini che aveva, e sapeva anche che da mezzogiorno alle tre spariva e non si sapeva dove andasse. Un giorno la figlia del Re era lì a contemplare il suo granchio, quando sentì suonare la campanella.
S’affacciò al balcone e c’era un povero vagabondo che chiedeva la carità. Gli buttò una borsa di monete d’ oro, ma il vagabondo non fu lesto a prenderla al volo e gli cadde in un fosso. Il vagabondo scese nel fosso per cercarla, si cacciò sott’ acqua e si mise a nuotare. Il fosso comunicava con la peschiera del Re attraverso un canale sotterraneo che continuava fino a chissà dove. Seguitando a nuotare sott’acqua, il vagabondo si trovò in una bella vasca, in mezzo a una gran sala sotterranea tappezzata di tendaggi, e con una tavola imbandita. Il vagabondo uscì dalla vasca e si nascose dietro i tendaggi. A mezzogiorno in punto, nel mezzo della vasca spuntò fuori dall’ acqua una Fata seduta sulla schiena
d’un granchio. La Fata e il granchio saltarono nella sala, la Fata toccò il granchio con la sua bacchetta, e dalla scorza del granchio uscì fuori un bel giovane. Il giovane si sedette a tavola, la Fata batté la bacchetta, e nei piatti comparvero le vivande e nelle bottiglie il vino. Quando il giovane ebbe mangiato e bevuto, tornò nella scorza di granchio, la Fata lo toccò con la bacchetta e il granchio la riprese in groppa, s’immerse nella vasca e scomparve con lei sott’acqua.
Allora il vagabondo uscì da dietro ai tendaggi, si tuffò anche lui nella vasca e nuotando sott’acqua andò a sbucare nella peschiera del Re. La figlia del Re che era lì a guardare i suoi pesci, vide affiorare la testa del vagabondo e disse:
– Oh: cosa fate voi qui?
– Taccia, padroncina, – le disse il vagabondo, – ho da raccontarle una cosa meravigliosa -. Uscì fuori e le raccontò tutto.
– Adesso capisco dove va il granchio da mezzogiorno alle tre! – disse la figlia del Re. – Bene, domani a mezzogiorno andremo insieme a vedere.
Così l’indomani, nuotando per il canale sotterraneo, dalla peschiera arrivarono alla sala e si nascosero tutti e due dietro i tendaggi. Ed ecco che a mezzogiorno spunta fuori la Fata in groppa al granchio. La Fata batte la bacchetta e dalla scorza del granchio esce fuori il bel giovane e va a mangiare. Alla Principessa, se il granchio già le piaceva, il giovane uscito dal granchio le piaceva ancora di più, e subito se ne sentì innamorata.
E vedendo che vicino a lei giaceva la scorza del granchio vuota, ci si cacciò dentro, senza farsi vedere da nessuno.
Quando il giovane rientrò nella scorza di granchio ci trovò dentro quella bella ragazza. – Cos’hai fatto? – le disse, sottovoce, – se la Fata se n’accorge ci fa morire tutt’e due.
– Ma io voglio liberarti dall’incantesimo! – gli disse, anche lei pianissimo, la figlia del Re. – Insegnami cosa devo fare.
– Non è possibile, – disse il giovane. – Per liberarmi ci vorrebbe una ragazza che m’ amasse e fosse pronta a morire per me.
La Principessa disse: – Sono io quella ragazza! Intanto che si svolgeva questo dialogo dentro la scorza di granchio, la Fata si era seduta in groppa, e il giovane manovrando le zampe del granchio come al solito, la trasportava per le vie sotterranee verso il mare aperto, senza che essa sospettasse che insieme a lui era nascosta la figlia del Re.
Lasciata la Fata e tornando a nuotare verso la peschiera, il Principe – perché era un Principe – spiegava alla sua innamorata, stretti insieme dentro la scorza di granchio, cosa doveva fare per liberarlo: – Devi andare su uno scoglio in riva al mare e metterti a suonare e cantare. La Fata va matta per la musica e uscirà dal mare ad ascoltarti e ti dirà: “Suoni, bella giovane, mi piace tanto”. E tu risponderai: “Sì che suono, basta che lei mi dia quel fiore che ha in testa”. Quando avrai quel fiore in mano, sarò libero, perché quel fiore è la mia vita.
Intanto il granchio era tornato alla peschiera e lasciò uscire dalla scorza la figlia del Re.
Il vagabondo era rinuotato via per conto suo e, non trovando più la Principessa, pensava d’essersi messo in un bel guaio, ma la giovane ricomparve fuori dalla peschiera, e lo ringraziò e compensò lautamente. Poi andò dal padre e gli disse che voleva imparare la musica e il canto. Il Re, che la contentava in tutto, mandò a chiamare i più gran musici e cantanti a darle lezioni.
Appena ebbe imparato, la figlia disse al Re: – Papà, ho voglia d’andare a suonare il violino su uno scoglio in riva al mare.
– Su uno scoglio in riva al mare? Sei matta? – ma come al solito la accontentò, e la mandò con le sue otto damigelle vestite di bianco. Per prevenire qualsiasi pericolo, la fece seguire da lontano da un po’ di truppa armata.
Seduta su uno scoglio, con le otto damigelle vestite di bianco, su otto scogli intorno, la figlia del Re suonava il violino. E dalle onde venne su la Fata.
– Come suona bene! – le disse. – Suoni, suoni che mi piace tanto!
La figlia del Re le disse: – Sì che suono, basta che lei mi regali quel fiore che porta in testa, perché io vado matta per i fiori.
– Glielo darò se lei è capace d’ andarlo a prendere dove lo butto.
– E io ci andrò, – e si mise a suonare e cantare. Quando ebbe finito, disse: – Adesso mi dia il fiore.
– Eccolo, – disse la Fata e lo buttò in mare, più lontano che poteva.
La Principessa lo vide galleggiare tra le onde, si tuffò e si mise a nuotare.
– Padroncina, padroncina! Aiuto, aiuto! – gridarono le otto damigelle ritte sugli scogli coi veli bianchi al vento. Ma la Principessa nuotava, nuotava, scompariva tra le onde e tornava a galla, e già dubitava di poter raggiungere il fiore quando un’ondata glielo portò proprio in mano.
In quel momento sentì una voce sotto di lei che diceva: – Mi hai ridato la vita e sarai la mia sposa. Ora non aver paura: sono sotto di te e ti trasporterò io a riva. Ma non dire niente a nessuno, neanche a tuo padre. Io devo andare ad avvertire i miei genitori ed entro ventiquattr’ore verrò a chiedere la tua mano.
– Sì, sì, ho capito, – lei gli rispose, soltanto, perché non aveva più fiato, mentre il granchio sott’ acqua la trasportava verso riva.
Così, tornata a casa, la Principessa disse al Re che s’ era tanto divertita, e nient’ altro.
L’indomani alle tre, si sente un rullo di tamburi, uno squillo di trombe, uno scalpitìo di cavalli: si presenta un maggiordomo a dire che il figlio del suo Re domanda udienza.
Il Principe fece al Re regolare domanda della mano della Principessa e poi raccontò tutta la storia. Il Re ci restò un po’ male perché era all’ oscuro di tutto; chiamò la figlia e questa arrivò correndo e si buttò nelle braccia del Principe: – Questo è il mio sposo, questo è il mio sposo! – e il Re capì che non c’ era altro da fare che combinare le nozze al più presto.
Italo Calvino, da “Fiabe italiane”, 1956

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