I Defatta partirono da Palermo su una nave a vapore, fecero tappa a Genova e poi di lì, in venti giorni, raggiunsero la grande Novorlenza. Erano parte di una massa che varcava l’oceano dalla Sicilia verso il Nuovo Mondo a causa di una bizzarra coincidenza storica. Illusi e poi delusi dal generale Garibaldi, che aveva loro promesso la terra, andavano in America perché là avevano bisogno di nuovi schiavi, perché un generale come Garibaldi aveva liberato quelli negri; servivano braccia per la «zuccarata», perché i negri non ci stavano più a stare sotto padrone, si ribellavano e non avevano voglia di lavorare e chiedevano troppi quattrini. I padroni americani erano venuti fino in Sicilia per tastargli i muscoli, a controllare che la razza era buona. Cercavano gente forte e ubbidiente, perché la fatica da fare era tanta. Il taglio della canna era considerato, da un secolo, il lavoro più faticoso del pianeta.
I giornali di New Orleans raccontavano questi arrivi come degli spettacoli e descrivevano gli uomini bassi, ma muscolosi, i più ricchi con berretti di pelo, pantaloni di lana stretti alle caviglie, scialli verdi, gialli e rossi e per tutti, orecchini: al lobo per i maschi, pendenti fino alle spalle per le donne, le quali erano «senza copricapo, con capelli spartiti in mezzo alla testa, dalle facce dure e poco invitanti».
Avvenuta senza fanfare e poco compresa, allora come oggi, quella siciliana verso la Louisiana e il Mississippi fu una deportazione di esseri umani concepita tra governi, allo scopo di realizzare uno dei più foschi progetti dell’era moderna.
La Sicilia aveva aumentato di un milione e mezzo i suoi abitanti dai tempi dell’Unità d’Italia. I siciliani erano troppi, circolavano strane idee, volevano la terra, si ribellavano. I padroni americani si trovavano alle prese con un problema analogo. La guerra aveva affrancato quattro milioni di schiavi che ora non volevano più lavorare sotto la frusta. Bisognava liberarsene, trovare nuovi schiavi. Gli americani chiamarono quel progetto «push and pull», spingi e tira. L’Italia li spingeva via, e niente era più convincente che ridurli in miseria e fargli sparare addosso dai carabinieri. La Louisiana e il Mississippi li attiravano, come unica speranza loro rimasta. I due contraenti concordavano che non si dovevano avere con loro troppi riguardi, perché era gente capace di stare sotto un padrone, ma infida.
Prefetti, militari, latifondisti scelsero i posti in cui operare con cura, paese per paese. E così svuotarono Contessa Entellina, Ustica, Bisacquino, Poggioreale, Corleone, Cefalù, Palazzo Adriano, Chiusa Sclafani, Trabia, Caccamo, Gibellina, Vallelunga Pratameno, Roccamena, Sambuca, Salaparuta, Alia. E altri li raccolsero a Palermo, a Termini Imerese, a Trapani, a Salemi.
Si calcola che dal 1880 al 1900 partirono per New Orleans in centomila siciliani. Zolfatari, ex garibaldini, piccoli contadini falliti perché troppo tassati, renitenti alla leva, ex detenuti, braccianti, scarpari, muratori, contadini d’esperienza, famiglie intere. Tutti cercavano terra, ma era una grande truffa. A quei tempi, però, era la terra a far girare il mondo; quello che poi diventarono le fabbriche e il petrolio, allora erano lo zucchero e il cotone.