Linguaggi

Che pace!

20.10.2023

“La quiete misteriosa, ambigua, affascinante, dei laghi. Di certe persone taciturne. Di alcuni animali silenziosi. Delle piante.”

Francesco Burdin, da “Un milione di giorni”, 2001

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L’approdo
“Felice l’uomo che ha raggiunto il porto,
Che lascia dietro di sé mari e tempeste,
I cui sogni sono morti o mai nati,
E siede a bere all’osteria di Brema,
Presso al camino, ed ha buona pace.
Felice l’uomo come una fiamma spenta,
Felice l’uomo come sabbia d’estuario,
Che ha deposto il carico e si è tersa la fronte,
E riposa al margine del cammino.
Non teme né spera né aspetta,
Ma guarda fisso il sole che tramonta.”
Primo Levi, “L’approdo”, da “Ad ora incerta”, 1981
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La quiete dopo la tempesta

 

“Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
Con l’opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
Della novella piova;
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.

 

Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende?
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.

 

O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
E’ diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.”

 

Giacomo Leopardi, “La quiete dopo la tempesta”, composta  a Recanati nel 1829 e pubblicata in “Canti” nel 1831

 

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Dipinto di Matteo Arfanotti

 

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Verso le dieci, in ozio
“Stacca dal colore della rosa
la prima volta che te ne portarono un mazzo
dal battere sui vetri della pioggia
il giorno in cui una finestra venne sfondata;
i sorsi bevuti
dal sapore del caffè;
strappa via dal colophon del libro appena richiuso
i mattini in cui studiavi, avevi cento anni,
andavi a scuola;
non sovrapporre l’ora di adesso
all’ora di buio e all’ora di consolazione,
il giorno senza connotati
al giorno senza connotati;
strappa dividi strappa ancora,
separa questo da quello,
la prima dall’ultima volta
e il suono dello strappo lasciato
chiamalo col mio nome.”
Pierluigi Cappello, da “Stato di quiete. Poesie 2010-2016”
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