Pensieri

Camminare, una rivoluzione

18.11.2023
“Non c’è nulla di più sovversivo, di più alternativo al modo di pensare e di agire oggi dominante che il camminare. Punto.
Camminare è una modalità del pensiero. È un pensiero pratico. […]
Camminare realizza al meglio l’affermazione di Hofmannsthal: «L’uomo scopre nel mondo solo quello che ha già dentro di sé; ma ha bisogno del mondo per scoprire quello che ha dentro di sé».
Perché si cammina sempre in un contesto e questo fatto ci sollecita, ci spinge a porci domande; e ci impone di farne altre.
Esercizio inattuale e quindi prezioso in un tempo in cui tutti danno risposte senza più farsi domande.
A guidarci le parole di María Zambrano: «Esistere è resistere, essere “di fronte”, opporsi. L’uomo è esistito quando, di fronte ai suoi dei, ha offerto una resistenza».
Camminare rappresenta oggi questa forma alta di r-esistenza.
Questa è la tesi. L’antitesi è interna alla tesi stessa. La sintesi non c’è. Dialettica senza sintesi.
Resta tra tesi e antitesi una tensione che non può essere risolta, un conflitto che di tutte le cose è il padre.
D’altronde solo la smemoratezza e la cultura dell’inconsapevolezza che regnano sovrane hanno reso occulto ciò che sin dall’inizio dei tempi ci era stato ri-velato e che ora dobbiamo tornare a s-velare.
«Lekh lekhà (vattene)». Sono queste le prime parole che Dio rivolge all’uomo nella storia, ad Abramo: «Vattene dalla tua terra, dalla tua famiglia e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò», è scritto nella Genesi. Parole esigenti, di sconvolgimento, tutt’altro che rassicuranti o comprensive. Ha commentato Enzo Bianchi: «Lekh lekhà, espressione che significa letteralmente “va’ verso te stesso”, un invito dunque a partire, un invito al viaggio anche interiore, paragonabile in qualche modo al celebre “gnôthi sautón” — conosci te stesso —, della tradizione sapienzale greca […]. Obbedendo a quel “vattene” egli deve innanzitutto compiere tre precise rotture: con la terra di provenienza; con il mondo religioso idolatra; con la casa paterna, cioè con i legami di sangue». Mettersi in cammino, far muovere i piedi significa da sempre un rivolgimento, verso se stessi e il proprio mondo. E se restiamo agli inizi, ciò che per primo l’uomo imparò a leggere non furono le tavolette cuneiformi dei Sumeri o i geroglifici egizi, ma le orme sul terreno, quelle dei suoi simili e degli animali che cacciava o da cui fuggiva.”
Elogio dei piedi
Perché reggono l’intero peso
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare
Perché portano via
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato
E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali
Perché scalzi sono belli Perché sanno piantarsi nel mezzo della strada come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Puškin
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella
Perché non sanno annusare e non impugnano armi
Perché sono stati crocefissi
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio Perché come le capre amano il sale
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.
Perché i piedi non mentono.”
Adriano Labnucci, da “Camminare, una rivoluzione”, 2011
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In evidenza: Foto di Sonia Simbolo

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