Linguaggi

I paesi del cuore

27.11.2023

Che cos’è la paesologia 

1.

La paesologia è un modo di usare la paura. Siamo animali spaventati. Se non lo siamo significa che abbiamo cristallizzato qualcosa, significa che abbiamo mineralizzato una parte della nostra anima e del nostro corpo. Il sangue che scorre è spavento, il cuore che batte è un urlo.

2.

La paesologia nasce quando i paesi stanno finendo. In questo finire apparente si aprono fessure che danno emozione.

3.

La paesologia non misura niente, è uno sbandamento percettivo. Dallo sguardo sul proprio corpo allo sguardo sul corpo del paese e del paesaggio. Disciplina lievemente immatura, sempre un poco acquatica, mai ferma, mai definita nei suoi contorni.

4.

La paesologia ha capito che i luoghi sono importanti. Bisogna guardare quello che ci facciamo coi luoghi, bisogna saperci fare coi luoghi. Non può essere solo una faccenda di urbanisti o di sociologi.

5.

La paesologia ha molto a che vedere con la morte, anche se non la vede.

6.

La paesologia non ha opinioni e quando le ha non è il caso di farci caso.

7.

La paesologia crede a Dio, alla morte, alla poesia più che all’attualità.

8.

La paesologia immagina che due sono le cose primarie: il proprio corpo e il mondo esterno, tutto il mondo esterno, dalle foglie alle macchine parcheggiate.

9.

La paesologia sospetta che il tessuto del mondo non è l’amore e non è neppure l’odio. Non c’è un tessuto del mondo da scoprire, non c’è un buco da cui vedere il cielo. Il buco se mai bisogna farlo per terra, verso le tane delle formiche, le radici degli alberi.

10.

La paesologia è madre, adolescenza, vento, ansia, neve, tremore, timidezza, egoismo umile, delirio innocente, leggerezza, incertezza, preoccupazione, ironia, cuore, malattia e altre parole singole. Non c’è mai discorso, pensiero, romanzo, sempre e soltanto frammenti, frammenti di fervore e di accidia, di letizia e disperazione. Non è una scienza, ma un vento che viene da sotto.

Franco Arminio

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Ci vuole un Paese….
“Ci vuole un Paese che entri con clemenza rinnovata nell’archivio delle paure, dei fallimenti, delle
politiche guaste
e ricominci a seminare nell’unica terra resa fertile dal sangue e dal sudore, la sola terra che non vede crisi e che cresce dentro
tutti:
il cuore”.
Carmine Valentino Mosesso, da “La terza geografia”, 2021
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Il mio paese
“Il paese dove sei nato
è sempre un ricordo innamorato:
te lo porti nel cuore
come un fiore;
come un santino nel portafoglio,
un quadrifoglio
nella sua busta:
ci sta
ed è un amuleto, un segnale
che ti protegge dal male.
Puoi andare lontano,
soldato, emigrante, forestiero,
vedere un mondo straniero
con meraviglie di piazze,
fontane, palazzi ad arcate,
cattedrali forate,
e un fiume che lucido e lento
ci passi nel mezzo
come un vasto viale d’argento
dove tutto si specchi.
E sopra, i ponti, parecchi,
che giocano arditi
a scavalcarlo.
Però quella piccola cosa
ch’è il tuo paese,
il mio paese,
un cantuccio di provincia,
un niente, un nido di cincia,
che mi ritrovo acquattato
ogni volta nel cuore
le sue tre piazzette,
un corso, sei strade, ma strette,
la chiesa, due chiese,
la mia casa appena entri in paese,
un fiume con un ponte soltanto –
è sempre un incanto!
E mi parla, oh, specie in certe ore
quando scende la sera,
con una accorata dolcezza
ch’è anch’essa, chissà,
un segreto riflesso
di felicità.”
Vincenzo Fraschetti
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Foto di Federica Cavallo
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Che cosa?
“Sul paesino bianco bianco
scende la notte scura scura;
ma il cuor piccino non ha paura,
anzi è preso da un dolce incanto.
Cosa c’è che lenta si leva
per il cielo vasto e solo?
C’è una luna di rosa e d’oro
che sembra un fiore di primavera.
Cosa c’è nell’aria quieta,
come un pianto grave e soave?
C’è la campana che prega l’Ave
e accarezza ogni pena segreta.
Che cos’ha per compagnia
la piazzetta solitaria?
Ha la fontana che sempre varia
la sua canzone di fantasia..
E l’alberella che par morta,
senza più un fremito di volo?
L’alberella ha l’usignolo
che col suo piangere la conforta.
E nella casa, che s’empie già
d’uno stuolo vago e leggero
d’ombre vestite di mistero,
il bambino felice, cos’ha?
Il bambino ha la sua mamma
che gli fa nido con le braccia,
che se lo stringe guancia a guancia
e gli canta la ninna nanna…
Diego Valeri,Che cosa?”
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Paesello

 

“Tra smeraldi di monti
una penna dietro un muro sereno
un ruscello
con la voce di due passeri in rissa
un diroccato castel d’edera
che nel ciel s’inabissa,
una chiesina
dalla faccia di centenaria
tutte rughe chissà se piange o ride
dal gruppo delle case si divide
con quella campanina
che invita sta’ qui sta’ qui
sta’ qui.
L’amore la felicità
la pace
svanisce tutto come un fuoco d’aria
quando tace…”

Corrado Govoni, “Paesello”

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Foto di Sonia Simbolo

 

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I paesi si salveranno
“I paesi si salveranno
e salveranno anche gli uomini e le donne
che ci sono dentro
e intorno, a Nord, a Sud, al Centro.
Come non lo saprà nessuno,
faranno come hanno sempre fatto:
una mela in due, un fil di ferro,
e la sorpresa del miracolo.”
Carmine Valentino Mosesso, da “La terza geografia”
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1
“Il paese del sale, il mio paese
che frana – sale e nebbia –dall’altipiano a una valle di crete;
così povero che basta un venditore
d’abiti smessi – ridono appesi alle corde
i colori delle vesti femminili –
a far festa, o la tenda bianca
del venditore di torrone.
Il sale sulla piaga, queste pietre
bianche che s’ammucchiano
lungo i binari – il viaggiatore
alza gli occhi dal giornale, chiede
il nome del paese – e poi in lunghi convogli e
scendono alle navi di Porto Empedocle;
il sale della terra – “e se il salediventa insipido
come gli si renderà il sapore?”
(E se diventa morte,
pianto di donne nere nelle strade,
fame negli occhi dei bambini?).
2.
Questo è il freddo che i vecchi
dicono s’infila dentro le corna del bue;
che svena il bronzo delle campane,
le fa opache nel suono come brocche di creta.
C’è la neve sui monti di Cammarata,
a salutare questa neve lontana
c’erano un tempo festose cantilene.
I bambini poveri si raccolgono silenziosi
sui gradini della scuola, aspettano
che la porta si apra: fitti e intirizziti
come passeri, addentano il pane nero,
mordono appena la sarda iridata
di sale e squame.
Altri bambini
stanno un po’ in disparte, chiusi
nel bozzolo caldo delle sciarpe.”
Leonardo Sciascia, da “Cartoline dal mio paese”, su “La Stampa” del 18 dicembre 2009 –
(Composte da Leonardo Sciascia nel 1952, queste due poesie furono trovate da Francesco Izzo tra le “Carte Pasolini”, presso l’Archivio A. Bonsanti del Gabinetto Vieusseux di Firenze)
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Courtesy foto © Fondazione Leonardo Sciascia
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Nell’immagine in evidenza: Illustrazione di Mojmir Jezek

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