Dalla collaborazione di Fabrizio De André e di Paolo Villaggio…
“Senza pretesa di voler strafare
Io dormo al giorno quattordici ore
Anche per questo nel mio rione
Godo la fama di fannullone
Ma non si sdegni la brava gente
Se nella vita non riesco a far niente
Tu vaghi per le strade quasi tutta la notte
Sognando mille favole di gloria e di vendette
Racconti le tue storie a pochi uomini ormai stanchi
Che ridono fissandoti con vuoti sguardi bianchi
Tu reciti una parte fastidiosa alla gente
Facendo della vita una commedia divertente
Ho anche provato a lavorare
Senza risparmio mi diedi da fare
Ma il sol risultato dell’esperimento
Fu della fame un tragico aumento
Non si risenta la gente per bene
Se non mi adatto a portar le catene
Ti diedero lavoro in un grande ristorante
A lavare gli avanzi della gente elegante
Ma tu dicevi il cielo è la mia unica fortuna
E l’acqua dei piatti non rispecchia la luna
Tornasti a cantar storie lungo strade di notte
Sfidando il buon umore delle tue scarpe rotte
Non sono poi quel cagnaccio malvagio
Senza morale straccione e randagio
Che si accontenta di un osso bucato
Con affettuoso disprezzo gettato
Al fannullone sa battere il cuore
Il cane randagio ha trovato il suo amore
Pensasti al matrimonio come al giro di una danza
Amasti la tua donna come un giorno di vacanza
Hai preso la tua casa per rifugio alla tua fiacca
Per un attaccapanni a cui appendere la giacca
E la tua dolce sposa consolò la sua tristezza
Cercando tra la gente chi le offrisse tenerezza
È andata via senza fare rumore
Forse cantando una storia d’amore
La raccontava ad un mondo ormai stanco
Che camminava distratto al suo fianco
Lei tornerà in una notte d’estate
L’applaudiranno le stelle incantate
Rischiareranno dall’alto i lampioni
La strana danza di due fannulloni
La luna avrà dell’argento il colore
Sopra la schiena dei gatti in amore.”
“Il fannullonee”, composta da Paolo Villaggio e Fabrizio De André nel 1963 e inclusa nell’album “Nuvole barocche” (1969)
“Paolo Villaggio lo si osserva perfettamente nel testo, ad esempio con l’uso del caratteristico aggettivo tragico, che sarà in seguito talmente popolarizzato con la saga di Fantozzi da fargli assumere una nuova accezione nel vocabolario della lingua italiana. Fantozzi, ovvero –grattate le divertenti (e in certi casi celeberrime) gag- una delle più grandi requisitorie contro il lavoro e contro il padronato che siano mai state scritte in questo paese. Il mondo della grande azienda disumanizzante, il padrone santificato con le poltrone in pelle umana, il povero impiegatuccio coi suoi pregi e i suoi difetti, le sue umanità e le sue carognerie, che cerca in qualche modo di sopravvivere. Fantozzi, anch’esso oramai entrato nell’uso come sostantivo comune: un fantozzi, si dice da anni. E del rag. Fantozzi il “fannullone” di questa canzone è forse il necessario fratello, quello che non si è piegato. La provenienza è la stessa. Questa è una canzone deliziosamente rivoluzionaria, addirittura sovversiva. Allora come oggi. La storia di un uomo che sceglie di vivere il lato giocoso della vita, dormendo di giorno le sue famose “quattordici ore” e vagando di notte a raccontare storie, rendendosi così inviso alla “gente perbene”.
*****
In evidenza: Immagine tratta dal film del 2017 “Loving Vincent”, di Dorotea Kobiela e Hugh Welchman