Cornell sapeva quello che stava facendo? Sì, ma in prevalenza no. Chi può davvero saperlo? Cornell sapeva quello che gli piaceva vedere e toccare. Quello che piaceva a lui non interessava a nessuno. Il surrealismo gli fornì il modo di essere qualcosa più di un semplice eccentrico, collezionista di bizzarrie varie. Le idee sull’arte vennero dopo, se mai vennero chiaramente. (…)
Dada e surrealismo gli fornirono un precedente e la libertà. Penso soprattutto alla sorprendente scoperta che la poesia lirica può nascere da operazioni causali (…)
Forse il modo ideale per osservare le scatole è metterle sul pavimento e stendercisi accanto. Non sorprende che dalle scatole volti infantili ci fissino fino a confonderci, e che abbiano l’aria sognante dei bambini intenti al gioco. La loro è la solitudine felice di un tempo senza orologi dove i bambini sono i signori del mondo. Le scatole di Cornell sono reliquiari dei giorni in cui regnava l’immaginazione. C’invitano, com’è ovvio, a rivivere i sogni della fanciullezza.
Joseph Cornell non sapeva disegnare, dipingere o scolpire, eppure era un grande artista americano. Vagò per le strade di New York dai tardi anni Venti fino alla morte, nel 1972, rovistando nei negozi di libri usati, dai rigattieri.
“Il mio lavoro è solo la conseguenza naturale del mio amore per la città” diceva.
Un giorno del 1931 vide alcune bussole nella vetrina di un negozio e delle scatole in quello accanto, così gli venne in mente di metterle assieme.
Charles Simić, da “Cacciatore di immagini”, 1992
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Le immagini mostrano le scatole di Cornell