Uno ha diritto all’allegria. Alle volte è fumo o nebbia o presagio. Ma dietro quei ritardi lei è lì, in attesa. C’è sempre una fessura nell’anima da dove l’allegria sporge le sue nitide pupille. Allora il cuore diventa più vivace, si strappa alla sua quiete e si fa quasi uccello.
L’allegria giunge dopo le assenze, la fine delle nostalgie. Quando uno si rincontra con quello che ama e la sua rivelazione unanime, è logico che la gioia ci strapazzi e ci faccia venir voglia di cantare. Perfino quando non abbiamo voce, afoni da scadute agonie.
Dopotutto, l’allegria è un prestito, non ci appartiene. È una piccola pazzia, un premio passeggero, ma la godiamo come se fosse propria, come un lucro, una primavera della vita. Lei s’afferra al tempo, trascina il suo poco a poco nell’infanzia e s’immette fischiando nell’età matura.
Settimana dopo settimana, anno dopo anno, l’allegria riempie i vuoti. Fino a quando non ce la fa più e diventa tristezza.
Mario Benedetti , da “Il diritto all’allegria” – Traduzione di Milton Fernàndez
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