Cesidio Gentile, “Jurico”, di Pescasseroli (1847-1914)
Cesidio era un pastore abruzzese, in realtà più noto come Jurico, il “cerusico”, perché dal nonno aveva appreso le proprietà delle erbe, con le quali preparava unguenti e decotti.
“Nacqui a Pescasseroli il 28 giugno 1847. Crebbi colmo di miseria e nell’ignoranza, a motivo che a quei tempi scole elementari non esistevano e, nella scuola privata, mio padre non ebbe il potere di mandarmi. Era un misero pastore; si guadambiava un anno docati trenta di moneta napoletana pari a lire centoventisette e cinquanta, e con quello misero stipendio doveva alimentaro tre figli e sua moglie. Di otto ani mi portai al bosco Pirinella a pasturare le pecore, unito a lui. Nella capanna dei pastori mi imparai a conoscere le lettere dell’alfabeto e, per istinto di natura ebbi un bel gusto di ascoltare le storielle popolari scritte in ottave: i racconti Cavallereschi della Tavola Rotonda mi davano molto a penzare. E così, nella mia idea, a pena cominciai a scrivere, scriveva versi ispirati dalla mia fantasia“.
Leggeva molto, Jurico: conosceva Omero, Dante, Tasso, Ariosto e ancora Manzoni, D’Azeglio, Flaubert e Dumas.
Amava molto scrivere poesie e ne sapeva perfino un po’ di storia…
“Il mondo ne sarà tutto ammirato
l’Aquila corre in tutte le regioni
Poi nasce un uomo, Cesare chiamato, diventa audace e passa il Rubicone
Arriva a Roma ed abbatte il Senato,
di tutta Roma diverrà padrone:
gli uomini tutti ammirano il valore,
e lo diranno tutti Imperatore.“
Jurico, però, non ebbe mai la possibilità di dedicarsi anima e corpo alla poesia come avrebbe voluto. Non la poesia, ma la vita del pastore era scritta nel suo destino, così com’era stato per suo padre e, ancora prima, per suo nonno.
“Il giorno appresso il padre mi disse: – O mio figliolo, a me molto mi dole
il vostro male.
Dobbiamo andare in Puglia
a guadagnarci il pane:
con l’uncinetto in mano hai da guidare
le pecorelle, dritto
la via dello tratturo…“
…La transumanza: insieme necessità di vita e rito di passaggio:
“Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.“
(Gabriele D’Annunzio, da “I pastori”)
Lungo i tratturi solcati dalla transumanza correvano leggende, racconti, notizie; e, un po’ come sui percorsi tracciati dai pellegrini, nascevano chiesette, taverne, piccole stazioni di posta, ricoveri per i pastori e per le loro greggi.
Jurico non fu l’unico di loro a scrivere versi, ma certo ne compose a migliaia, molti dei quali andarono irrimediabilmente perduti.
…E così Jurico se ne duole con la ninfa Urania.
“Tu sola al mio cantare fosti contraria
i miei semplici versi tutti in aria
in preda al vento me l’abbandonasti.
Oh! Dico che gran dolore è il ricordare
Ebi a comporre centomila versi
A tuo volere tutti andarono spersi.“
Molte delle sue poesie, però, cominciarono a circolare tra amici e conoscenti, facendolo diventare famoso come poeta, proprio come lui avrebbe desiderato.
E tra i suoi estimatori ci fu anche Benedetto Croce, che, nella sua “Storia del Regno di Napoli”, lo ricordava come autore “di storie e leggende dei briganti”, della “vita pastorale descritta in tutti gli aspetti, quella che realmente i pastori vivono tra le montagne di Abruzzo e nelle pianure della Puglia. In mezzo agli incidenti di bufere di geli e di disastri e d’incontri con lupi e orsi, si narrano apparizioni di animali mostruosi e demoniaci, che sbucano dalle selve, tra la nebbia, e minacciano e predicono malasorte”. “Da bambino, – prosegue Croce – percorrendo i tratturi della transumanza delle greggi, che si snodavano dall’Abruzzo per giungere nel Tavoliere delle Puglie (tra i quali il Tratturo Pescasseroli-Candela), aveva imparato da solo a leggere e a scrivere. Durante quei duri tragitti era solito declamare le trame di importanti poemi cavallereschi, che, rivisitate, utilizzava per i suoi versi. In essi, si rispecchiavano prevalentemente vicende comunali, anche colorite, di ordine sia morale che sociale. La sua maggiore fatica letteraria è rappresentata dalla “Leggenda marsicana”, unica fra le sue opere pubblicate in cui è racchiuso il tentativo di un poema epico relativo alla storia dei Marsi” (Benedetto Croce).
“Lungi da Isernia circa trenta miglia
Il vostro bel Castello si ritrova:
dove con pena sta la tua famiglia
Senza sapere di te nessuna nova.
Prima di te là giungerò la figlia
Del Re di Persia, e dimostra la prova Dell’amor che ti porta,
Ahi sventurata
Del troppo amore tuo viene ammazzata.“
La “Leggenda Marsicana”, che raccontava la sfortunata storia d’amore tra la saracena Pescha e il giovane eroe Serolo, fu stampata grazie ad un improvvisato “mecenate” suo conterraneo e arrivò in America, portata da alcuni emigranti.
Jurico morì il 26 ottobre 1914 a Civitanova del Sannio, in Molise, a causa di una caduta da cavallo.
Il cippo funerario piantato sul luogo in cui Jurico morì