Pensieri

Balthus

17.04.2024
Ecco perché l’artista non deve diventare narratore di storie. In pittura, l’aneddoto non dovrebbe esistere. Un quadro, un soggetto, si impongono, solo l’artista ne conosce tutte le profondità, tutte le vertigini. Non succede nulla in un quadro, esso è e basta, è per definizione o non è. Baudelaire affermava che una poesia c’è prima di esserci, altrimenti corrisponderebbe a qualcosa di narrativo voluto dall’artista, di modificato. Un quadro, una poesia sfuggono a queste contingenze, c’è una libertà terribile in essi, una violenza selvaggia che non chiede nulla. In questo senso, l’artista è soltanto l’anello di una catena che è cominciata molto lontano nel tempo, a Lascaux per esempio, e certamente molto prima di Lascaux. Non c’è superiorità di Chardin rispetto a Lascaux, non c’è gerarchia. Tutte queste staffette creatrici appartengono allo stesso canto, quello del mondo, del fondo millenario del mondo di cui non so nulla ma che mi invia qualche messaggio, qualche bagliore. E l’artista vuole incessantemente ritrovare il fuoco che ne è all’origine, il focolare che produce le scintille. Mozart lo sa, trae i movimenti così fluidi della musica da quel fondo misterioso, ha il merito di averli riportati alla luce, alla nostra luce. Ecco perché ascolto Mozart così religiosamente, con un diletto e un giubilo quasi sacri. Ascoltare Mozart come si prega, perché il suo canto ha saputo captare le vibrazioni segrete del mondo. In pittura la stessa grazia deve permeare l’artista. La stessa ricerca di armonia. Il paesaggio, i bambini, che talvolta conoscono questo stato miracoloso, sono la mia materia: il modellato quasi polveroso di una guancia di bimbo o l’asprezza gessosa di una mela cotogna caduta dall’albero alle prime gelate. Ricordarsi delle analogie, delle corrispondenze enunciate da Baudelaire: «Il est des parfums, frais comme des chairs d’enfants. / Doux comme les hautbois, verts comme les prairies».
Balthus, da “Memorie”, in “La Foce e la Sorgente“, Quaderni, VII – Traduzione di Fabrizio Ascar
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In evidenza: Balthus, “La calle”, 1933

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