Nuovi dialoghi tra sapienti e invitati occasionali con la partecipazione di Yukel Sérafi
Disse: Il bene ci colma, il male fa il vuoto.
E pensava: Il niente è il male.
Disse: Il male è talvolta l’abito del bene.
E pensava: La stella è l’ornamento e il bottone dell’ampio manto delle notti.
Disse: Il bene è la nudità – per opposizione al manto.
E pensava: Il bene è il dono del vuoto; il male, l’abbandono.
Disse: Il niente votato al niente, è il male.
E pensava: Il vuoto allacciato al vuoto, è il bene?
Disse: Il male è il naufragio, l’incendio.
E pensava: L’acqua non è il bene? E il fuoco?
Disse: Il fuoco non brucia il cielo? La pioggia non affoga il cielo? Così, il fuoco, la pioggia, l’ombra sono il male.
E pensava: Il bene è il mattino degli occhi, la pioggia fertilizzante e l’ombra del sonno.
Disse: Il bene e il male hanno le stesse carte, godono delle stesse complicità, possiedono le stesse armi.
E pensava: Il male è l’avversario del bene. Nemici giurati, gemelli nell’uomo e nel mondo, il loro potere è uguale. La loro astuzia, la loro temerarietà, identiche.
Disse: Possiamo essere il male o il bene. Siamo l’uno e l’altro; ora la punta della spada, ora la venatura della foglia.
E pensava: Così, il disordine è lo sradicamento dell’ordine; così la menzogna è il vento contrario che la verità affronta. L’ordine nasce dalla piaga medicata e la verità, dalla ferita inferta alla tempesta.
Disse: Così, l’amore è la fortuna dell’amore.
Disse: La rivolta, colle della collera – Reb Assayeh non ha scritto: Guarda. Il colle è il vaso dove si schiude il pugno di Dio? – domina le nostre esistenze.
E pensava: Si può raggiungere la cima del colle?
Disse: Il pugno di Dio, minacciando il sole, abbaglia la morte.
E pensava: La rivolta è la vertigine del sogno, dove fonde l’acciaio dell’ascesa.
Disse: Più in alto, dove l’oggetto s’innamora del bastimento, prossimo ripiano di virtù.
E pensava: Dove il culmine contesta la propria altezza, la morte abolisce l’assurda misura.
Disse: L’oggetto è l’alba, il getto.
E pensava: La rivolta che si nutre di eccessi è figlia della morte.
Disse: La vita riduce la rivolta a grano di riso.
E pensava: La morte abbraccia la risaia.
Disse: È l’uomo capace di un vasto respiro?
E pensava: Il petto dell’uomo è prigione di vita.
Disse: L’uomo si compie nel superamento di sé. La morte lo rende l’uguale di Dio.
E pensava: Là dove la morte ci trascina, l’impossibile diventa possibile.
Disse: Non sorridere più, non è essere morti? Cessare di pensare, non è esere morti? Avere gli occhi chiusi, tacere, seppellire le mani, non è non vivere più? Rinunciare al cammino, non è aver perduto la terra?
E pensava: Abbiamo camminato senza segnare il suolo. Abbiamo fatto il giro del mondo. La morte ci ha confuso. Lo sguardo, il sorriso, il gesto sono faro, ripiano, tappa, dove la vita ci consuma.
Disse: La morte è la vita piena proposta a chi dispera di vivere.
E pensava: La morte, dove Dio va miracolosamente incontro a Dio.
E Yukel disse:
Il cerchio è riconosciuto. Spezzare la curva. Il cammino raddoppia il cammino. Il libro consacra il libro.
Edmond Jabès, da “Il libro delle interrogazioni”, 1982, Traduzione di Chiara Rebellato
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Nell’immagine in evidenza: Ayumi Shibata Art