La notte che io ho definito la notte del silenzio, non parlava più nessuno. Non sentivi un rumore. Speravi che succedesse qualcosa e non sapevi cosa volevi che succedesse. Aspettavi e non sapevi cosa aspettare. Eravamo come dei fantasmi incollati a ‘ste barricate fino alle sei del mattino quando spuntò l’alba.
Ed era l’alba del 25 aprile.
Non era ancora finita.
Usciti [i fascisti] dalle caserme entriamo noi ad occupare le caserme. E ad un certo punto troviamo due fascisti che si erano nascosti, e si poneva il problema di cosa poterne fare di quei due, perché non era un momento facile e questo loro lo sapevano benissimo.
Cosa cambiavan due morti in più, cosa cambiava? E vennero mandati a casa.
E qui passano gli anni. Una sera la custode mi dice “Guardi che c’è stato un signore a cercarla. Dice che voleva ringraziarla perché lei gli ha salvato la vita, comunque dice tornerà più tardi.”
Difatti è tornato con una bambina. Era uno dei due. Questa bambina mi sorrideva ed era un sorriso per me che arrivava da lontano, e rotolava lontano. Era la vita che avrebbe potuto non esserci. E io ho accarezzato quella bambina. Ma mentre la accarezzavo, pensavo ai miei due figli che se per caso avesse vinto suo padre, loro non sarebbero nemmeno nati.
Giuseppe Colzani, partigiano