Non delle auto nella strada. Né del rumore del treno a kerosene sloveno, che quando si sente vuole dire che sta per piovere e pioverà. Né della caldaia accesa, che è appena settembre ma fa già freddo.
Non voglio dirti di quello che sento, ma di quello che ascolto, che è altro perché ciò che si vive è sempre altro rispetto a chi lo vive. Come il silenzio è una somma algebrica di suoni che troppo spesso l’abitudine arrotonda per difetto.
Paola al telefono con mia madre.
Paola, mia donna dalle labbra e dal cognome greco che perdo e ritrovo come il mazzo di chiavi che dischiude la casa, tu sei chiavi e casa. Parli a bassa voce, nella voce hai la pazienza di chi sa aspettare con forza, non con rassegnazione. Del tuo nome ascolto l’alternarsi di vocali e consonanti senza comporle in parole e significati. Suono che riempie se stesso e anche me, ma non abbastanza da non sentirne il vuoto appena manca (forse non lo sai ma pure questo è amore).
Madre, so che non ti allontaneresti mai ma non verresti mai più vicina, come non ci siamo mai abbracciati. Questo è quello che non sento stasera, il fruscio dei tuoi vestiti sui miei, come quei pigiami di sintetico che lasciano scintille a sfregarli. Da bambino mi facevano paura, ma adesso che giustificazioni abbiamo?
Ho tre figli che dormono nella stanza vicina. Anche nel sonno hanno il respiro veloce, come se volessero costruire l’aria, come se l’aria fosse fiato di animale bambino e per questo necessaria.
Si potrebbe cercarvi nel buio, appoggiarvi le labbra sulla bocca e di ognuno sentire il fresco-caldo dell’alito infantile. L’innocenza ha un suono delicato, una fretta timida di polmoni che in punta di piedi riempiono la stanza.
Così ti ho detto di me.
Non è presunzione, non sono il centro del mondo ma questo è il mio mondo, non sono il filo che lega ma il punto dove il filo si annoda, il segnale raccolto in mezzo al brusio che divide le stazioni radio. Ascolto e ascoltando cerco la profondità nel sentire, provo a colmare il mio nome. Il mio identificativo, Francesco, che saperlo così comune in Italia non aiuta a sfuggire la solitudine.
Il treno sloveno è partito e adesso piove davvero. E l’aria si riempie del suono di gocce che schiantano al suolo nell’attimo in cui il volo diventa caduta.