“Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura
ve lo rivelan gli occhi e le battute della gente,
o la curiosità d’una ragazza irriverente
che vi avvicina solo per un suo dubbio impertinente:
vuole scoprir se è vero quanto si dice intorno ai nani,
che siano i più forniti della virtù meno apparente,
fra tutte le virtù la più indecente.
Passano gli anni, i mesi, e se li conti anche i minuti.
È triste trovarsi adulti senza essere cresciuti.
La maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo,
fino a dire che un nano è una carogna di sicuro
perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo.
Fu nelle notti insonni vegliate al lume del rancore
che preparai gli esami, diventai procuratore,
per imboccar la strada che dalle panche d’una cattedrale
porta alla sacrestia quindi alla cattedra d’un tribunale,
giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male.
E allora la mia statura non dispensò più buon umore
a chi alla sbarra in piedi mi diceva “Vostro Onore”
e di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio,
prima di genuflettermi nell’ora dell’addio,
non conoscendo affatto la statura di Dio.”
Fabrizio de André, “Il giudice”, dall’album “Non al denaro non all’amore né al cielo”, 1971
“Immaginate di essere alto solo uno e cinquantotto
E di aver cominciato come garzone di droghiere,
Studiando legge al lume di candela
Fino a diventare avvocato?
E poi immaginate che, grazie alla vostra diligenza
E alla regolare frequentazione della chiesa,
Siate diventato il legale di Thomas Rhodes,
Quello che incassava fatture e cambiali
E rappresentava tutte le vedove
Nelle cause di successione? E intanto, sempre,
Vi prendevano in giro per la statura e vi deridevano per i vestiti
E gli stivali tirati a lucido? E poi immaginate
di essere diventato Giudice della Contea?
E Jefferson Howard, e Kinsey Keene,
E Harmon Whitney, e tutti i giganti
Che prima sogghignavano, costretti a stare in piedi
Alla sbarra e a dire “Vostro Onore” –
Be’, non è naturale, secondo voi,
Che gli abbia reso la vita difficile?”
Edgar Lee Masters, da “Antologia di Spoon River”, 1916
(Il titolo dell’album di Fabrizio de André è tratto da un verso della poesia “La Collina”, che apre l'”Antologia di Spoon River”, alla quale si ispirano le 9 canzoni che compongono l’album medesimo. Nell’intervista che lo accompagna, De André spiegò di aver voluto affrontare due temi: l’invidia nel lato A e la scienza nel lato B)