Affabulazioni

Tu as voe di vigni a ciata to pari?

04.05.2024
Vedo mia madre che diventa anziana, e sempre più spesso mi racconta della sua infanzia con la necessità urgente degli anziani. C’è uno strano rapporto di comunione e distacco fra di noi, viviamo di quello che non riusciamo a dire piuttosto che di quello che diciamo, così fidandoci l’uno dell’altra sottintendiamo l’affetto.
Sempre più spesso lei mi parla in friulano e io le rispondo in italiano. Conosco anch’io il friulano, ma non lo uso perché sbaglierei verbi e vocaboli e davanti a lei mi sarebbe umiliante. I miei si rivolgevano sempre a noi figli in Italiano, in Lingua, così a scuola saremmo stati capaci di scrivere e leggere come si deve. Eravamo fortunati a studiare, a cambiare la storia di una famiglia che aveva sempre generato sacerdoti contadini e lavoratori comuni per non dire poveri. Eravamo la generazione del salto, e forse così è avvenuto.
Ma nessuno immaginava cosa avremmo perso.
Non lo sapevo neppure io, quando da piccola anima per piccole migrazioni sono andato via da Campoformido, ma solo fino a Gorizia e dunque non davvero lontano. Come tutti gli adolescenti avevo coltivato una fuga: troppo piccolo il paese, troppa gente che conosce di te per custodire la solitudine che mi è necessaria e insieme mi opprime.
Basta rosario con le castagne nel giorno dei morti.
Basta cene dei coscritti il 25 gennaio.
Basta partite di calcio, il borgo di sopra contro il borgo di sotto divisi per sempre dall’osteria del Trattato.
Eppure oggi mi ritrovo qui, dopo averlo evitato così a lungo mi ritrovo qui. Ho una famiglia, dei figli, un lavoro statale, mi sono indebitato fino alle ossa per pagarci una casa con un pezzo di terra. Ripeto fino ad illudermi che c’è una coscienza diversa, il non aver fatto le cose per dovere, ma perchè le mie scelte mi hanno portato a questo.
Mi resta ancora la distanza da una friulanità che non ho mai sentito mia, ma a cui appartengo comunque – almeno ho imparato a non negarlo.
Mi resta sapere che siamo in tanti a vivere questi tempi di finta pace dalla parte fortunata del televisore, e forse per questo a sentire il bisogno di appartenere, se serve anche ad una minoranza. Non mi interessa di calcio ma vorrei dire che tifo Udinese, magari soltanto per essere deriso se scendesse in serie B.
Mi resta pensare che il ricordo è raccogliere quello che si è vissuto, la memoria è invece tentare di capire quello che non si è vissuto per impararne qualcosa quando ne saremo capaci. Le cose grandi: come quando sono andato per la prima volta ad Auschwitz, restando immobile per un’ora a guardare la neve quasi potesse servire a qualcosa; come quando scavando per cercare un tubo dell’acqua nel giardino ho scoperto che viviamo su una distesa di macerie e fili spinati e pallottole e gavette.
Le cose piccole: mia madre che chiede “Tu as voe di vigni a ciata to pari?”* e io le dico “certo che vengo”, la ascolto e rispondo e mi sento parte di un mondo che sto aiutando a morire.
* ”Hai voglia di venire a trovare tuo padre?”
Francesco Tomada

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