Affabulazioni

Odessa (ovvero la letteratura in tempi di guerra)

27.05.2024
“Questa storia ha inizio più di trent’anni fa, alla fine degli anni Ottanta. All’epoca molti poeti erano impiegati dai giornali di Odessa, molti dei quali versavano in condizioni difficili. Un editore viene invitato a parlare alla mia classe.
“Chi desidera scrivere per un giornale?”
L’aula si riempie di mani alzate.
“Chi desidera scrivere gratis per un giornale?”
È una mano sola ad alzarsi: la mia. Ho dodici anni.
Nell’affollato corridoio della sede del giornale incontro un vecchio con un bastone, Valentyn Moroz, leggendario poeta di lingua ucraina che s’imbatte spesso in problemi con i funzionari del partito sovietico. Sta leggendo Mandel’štam accanto a me, però non riesce a stare fermo, non ce la fa a leggere tranquillamente. Mentre legge una strofa mi apostrofa con voce tremante: “Hai sentito? Senti? Questo è Mandel’štam, quel figlio di puttana Mandel’štam, nessuno scrive meglio di questo figlio di puttana Mandel’štam. Lo conosci questo Mandel’štam?”
Rispondo di no.
Moroz si alza. Mi prende per mano e mi conduce fuori dall’edificio verso la stazione del tram più vicina. Recita poesie a memoria dalla sede alla stazione, e poi sul tram fino al suo appartamento.
Esco di lì con una borsa di libri e un biglietto scritto a mano che mi intima di non tornare la prossima settimana a meno che non abbia letto e memorizzato alcune delle poesie di Mandel’štam.
È così che inizia la mia educazione.
Nello stesso anno conosco Yevgeny Golubovsky, un leggendario giornalista di Odessa, che viene invitato a fare un intervento nella mia scuola. Moroz ci tiene a dirmi che Golubovsky è stato una delle prime persone a ricominciare a pubblicare Mandel’štam dopo l’ultimo arresto e la morte del poeta nel 1938, in un campo di transito verso i lavori forzati. Secondo un aneddoto tramandato negli anni, Nadezhda, la vedova del grande poeta, condivise con Golubovsky alcuni dei suoi versi inediti, dattiloscritti su una sottile cartina da sigaretta. Quando Golubovsky giurò che, contro tutte le regole allora in vigore, avrebbe trovato un modo per pubblicarli, Nadezhda ridacchiò e annuì incredula.
Eppure un modo lo trovò. Golubovsky è un uomo fatto di tale pasta.
La mia famiglia lascia Odessa nel 1993. Moroz muore nel 2019, ma io e Golubovsky rimaniamo in contatto. Alla fine di febbraio di quest’anno, quando la Russia invade l’Ucraina, la sua e-mail mi descrive sirene antiaeree e panico, quindi conclude: “Ma ora tutto è tranquillo. È una bella giornata estiva».
Anche questa è la pasta di cui è fatto Golubovsky.
Quando gli chiedo come posso essere d’aiuto, lui risponde: “Ah, non ho bisogno di niente”, e quando chiedo di nuovo cosa posso fare, mi manda un messaggio veloce: “I Putin vanno e vengono. Stiamo fondando una rivista letteraria. Mandaci poesie”.
Golubovsky inizia sempre qualcosa. Alcuni anni fa, invitò un gruppo di letterati di tutte le età a prendere il tè insieme, e questo fu l’inizio del gruppo Green Lamp, un incontro regolare di poeti e scrittori. “Considerato che si tratta di una città che ha solo duecentoventisette anni, Odessa è ancora relativamente giovane”, mi scrive.
Ma da più di duecento di questi anni la città appare nella cartografia letteraria del mondo e scrittori così diversi tra di loro come Lord Byron, Mark Twain e Pushkin hanno scritto di Odessa. Il bardo nazionale polacco, Adam Mickiewicz, visse e insegnò in questa città per alcuni anni, e ne scrisse. La leggendaria Anna Akhmatova nacque qui. All’inizio del XX secolo Odessa aveva già una sua tradizione letteraria, variegata e multilingue: Isaac Babel e Yuri Olesha scrivevano in russo, Yanovsky e Sosiura in ucraino, Sholem Aleichem in yiddish e così via.
Ora Golubovsky cammina per la città e vede dispositivi anticarro sparsi sull’acciottolato delle vie, sente esplosioni sopra la sua testa. Nelle sue mail insiste sia sull’importanza della memoria culturale che sulla necessità di nuove voci. Dietro suo suggerimento inizio una serie di interviste ai membri del gruppo culturale Green Lamp, e in questo articolo potete leggere le loro parole sulle prime settimane di questa guerra. “Non augurerei mai a nessuno”, scrive Golubovsky, ” l’esperienza di vivere la propria giornata al ritmo delle continue sirene dei raid aerei. Il dolore è vissuto dalla città e dall’Ucraina nel suo insieme ed è lì a trafiggere costantemente lo sterno dello scrittore”.
Ilya Kaminsky, dalla rivista “The Paris Review” il 24 marzo 2022 – Traduzione di Pina Piccolo
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In evidenza: Foto da “Il Messaggero”

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