Affabulazioni

Lettera aperta

18.06.2024
“Finalmente avevo preso quel treno. affacciata al finestrino non sapevo ancora quante ossa di morto dure e zuccherose mi sarei dovuta sgranocchiare. Ma ero sul treno: avevo fatto il mio primo atto da adulta. Ed entravo così nel tranello della sicurezza: ero io che lasciavo qualcuno per la prima volta.
(…) La mia decisione era stata presa in piena libertà, da persona ormai cresciuta, irriducibile. (…) Entrai nel compromesso, mi rattrappii nel servaggio di avere successo ai loro occhi, di piacere. Credevo alla loro serietà e alla mia, e per venti anni rimasi anchilosata a servirli, a dire parole ambigue. A far finta di non avere paura e a non dormire per paura dei loro atti, delle loro decisioni che, come una volta, subivo. Con la sola differenza di agire come se le capissi e approvassi incondizionatamente mentre l’antico terrore annidato nel mio sangue ancora bambino gridava la notte svegliandomi. Riuscii a farlo tacere, ad imporgli la mia volontà di adulta: e cominciò una lotta di venti anni fra questo bambino e il grande conformista nascosto nelle mie vene, nel mio intestino, riducendomi a una agonia che mi invadeva piano piano le gambe, le mani, i pensieri, spingendomi alla morte vera, in clinica. Là mi svegliai cadavere con quei due dentro di me che ancora lottavano e non riuscivano a mettersi d’accordo. Davanti a tanta lotta cominciai a dubitare di me, degli altri. Pensai di dover fare un po’ d’ordine, lavarmi la faccia, soffiarmi il naso, rovesciare il cassetto, mentendo o no. Vi lascio per un po’: con questo poco di ordine che sono riuscita a fare intorno a me. Vorrei tacere per qualche tempo, e andarmene a giocare con la terra e con il mio corpo. Arrivederci.”
Goliarda Sapienza, da “Lettera aperta”, 2017
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Nell’immagine: Edward Hopper, “Compartment C”, 1938

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