Pensieri

Ich

25.06.2024
Un nome, una parola: che c’entra con me? Cosa sono un uomo e il suo nome? Come si può dare a un uomo il nome di una cosa, a una vita che muta, che è sempre diversa? Un uomo che è libero, in trappola dal giorno della nascita, bollato, segnato! Sempre sottomesso, a che pro essere forte, se poi si è sempre domati, a che pro lavorare, essere fieri e coraggiosi?
Ma ora io ne sono fuori, sono un altro, ho un altro nome, sono un altro uomo, è semplicissimo, basta solo cambiare abito, i nomi fanno le persone, e ora io sono il dottore, il dottor Hans Stern, sissignori, lo sono, io, io sono un uomo istruito, sono ricco, ogni preoccupazione è alle spalle, cos’è mai un cadavere, ora che mi sono preso la sua fortuna!
Ecco che il cane si è alzato dal suo cantuccio, si aggira quatto quatto per la stanza come facendomi la posta, tiene la testa sghemba, gli occhi verdi sfolgorano. Ogni volta che finisce il giro della stanza, si ferma ai piedi del divano, si rizza, mi guarda, distende le zampe sul folto tappeto, ci appoggia la testa, e attacca a guaire, un lungo tormentoso lamento.
Che diavolo ha questa bestia? Tutti sono buoni con me, tutti mi amano, degli sconosciuti mi mettono su un taxi, braccia estranee si allacciano al mio collo, mani estranee accarezzano tremanti il mio viso. Solo questo animale è cattivo, mi odia, mi strappa la carne dalla gamba facendola sanguinare, mi guarda con occhi di fuoco, un feroce e smanioso, ostinato nemico che mi fa la posta.
Bisogna cercare di farselo amico, è un buon animale. Di solito fa sempre il bravo, perché adesso no? Bisogna essere dolci con lui, accarezzarlo. Vieni, Nerone! Come faccio a conoscere il suo nome? Nerone? Sì, ecco, arriva, sì, tende l’orecchio, i ciuffi sopra le sopracciglia prendono a sussultare in modo strano, la testa si solleva, la coda si dimena, frulla, sferza tutt’intorno, all’improvviso salta sul divano, terrorizzato faccio per alzarmi, ma ecco che la sua testa è accanto alla mia, il morbido muso umido accanto alla mia guancia, e ora la lingua su orecchie, mento e mani. L’animale è fuori di sé, non è più in grado di trattenersi, il suo guaire diventa un latrato, la sua voce, rauca e violenta, scuote l’aria, salta su e giù dal divano, ruota su sé stesso come un pazzo, si rotola per terra, corre verso il tavolo, l’armadio, la finestra, trema in tutto il corpo, eccolo di nuovo accanto a me, fiuta, mi annusa una scarpa, i pantaloni, la benda, il latrato si placa, di nuovo un guaito lamentoso, straziante, si appiattisce a terra, sulle fredde assi del pavimento, sconsolato. Ansando, la lingua a penzoloni, le narici rosso scuro, la bava sul muso.
«Nerone», lo chiamo con una voce che mi è del tutto estranea, mi alzo di scatto dal divano, sono da lui, per accarezzarlo, per poggiare la mano sul suo pelo, la testa accaldata vicino alla sua – ma il gesto resta sospeso, nello specchio vedo il cane, gli oggetti nella stanza, la sedia davanti al tavolo, e sopra il tavolo i libri, il posacenere, la lampada, vedo l’animale sul pavimento – e un estraneo lì accanto, capelli scuri sulla fronte, la testa sul pelo dell’animale, la mano – paralizzato alzo lo sguardo, anche l’altro solleva la faccia, due occhi mi guardano fisso, terrorizzato mi allontano dal cane, l’altro fa lo stesso – che succede, mi prendono le vertigini, anche l’altro impallidisce, barcollando si rialza insieme a me, si avventa verso lo specchio, mi giro per vedere, anche l’altro si gira… Nessuno, non c’è nessuno nella stanza tranne me, sono completamente solo, soltanto l’immagine nello specchio, e quello – sono io, io, non può essere altrimenti, sono completamente solo, sono isolato, orribilmente solo, mi palpo tutto il corpo, braccia, viso, una mano accarezza l’altra: io, io, io, un altro è me, io sono l’altro, il morto, che ora vive, faccia, corpo un altro, muscoli, carne, intestino, cervello e anima. Non io? Non più mio? Io non più io? Quello che ora vede attraverso i miei occhi, quello che le mie mani toccano, i miei pensieri, i miei intimi pensieri – non più i miei? Mi afferra un vertiginoso terrore, provo a pensare, tutto è come raggelato, quiete glaciale dietro la fronte, dallo specchio mi fissa una faccia atterrita, bianca come marmo. All’improvviso un fremito, mi sento avvampare, come prima la mano tasta meccanicamente il taschino, ora tutto è chiaro: il passaporto, il nome dell’altro, il nome ha trascinato con sé l’altro, è misteriosamente congiunto a lui, indissolubili volto e nome, e ora io sono l’altro e devo vivere fino in fondo la sua morte, la sua vita, mentre lui giace laggiù sotto terra nel fango, e io mi infilo nella sua vita come in una cornice, ma so tutto, sto lì dietro come uno spettatore, eppure sono me stesso e mi guardo, io che sono l’altro eppure sempre io, un uomo dietro la sua immagine.
Ora su di me è scesa una calma, una strana quiete. Tutto è vuoto, non ho più paura, forse è stato troppo, sono stanco, non si può andare oltre un certo limite, l’attimo non lo cogli mai per intero, tutto quello che sai viene solo dal passato, va bene così, altrimenti l’anima andrebbe in pezzi. Una difesa, una barriera contro sé stessi, contro follia, sconvolgimento e delirio, va tutto bene, il passato completamente cancellato, niente più guerra, niente lavoro, non so più nemmeno com’era una volta, tanto è lo stesso, sono un uomo nuovo, inizia una nuova vita, un nuovo futuro. Ora, ora la felicità, ora, se varco quella porta, dietro c’è la felicità, dietro…
Peter Flamm (pseudonimo di Erich Mosse), da “Ich” (“Io”), 1926 – Traduzione di Margherita Belardetti
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In evidenza: Foto di Sonia Simbolo

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