Epistolario

Il Capo indiano Seathl al Presidente degli Usa Franklin Pierce

02.09.2024
Il Grande capo di Washington ci informa che desidera comprare la nostra terra. Il Grande Capo ci ha anche assicurato circa la sua amicizia e benevolenza nei nostri confronti. Questo è gentile da parte sua, perché noi sappiamo che non necessita della nostra amicizia. Però rifletteremo sulla tua offerta, perché sappiamo che se non lo facciamo, l’uomo bianco verrà con le armi e si prenderà la nostra terra.
Il Grande Capo in Washington può confidare in quello che il Capo Seathl dice, con la stessa certezza con la quale i nostri fratelli bianchi possono confidare nell’alternanza delle stagioni durante gli anni. La mia parola è come le stelle, esse non impallidiscono. Come potete comprare o vendere il cielo, il calore della terra? Quest’idea ci è estranea. Noi non siamo padroni della purezza dell’aria o dello splendore dell’acqua. Come potete allora comprarli da noi? Decidiamo solo sul nostro tempo. Questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni foglia rilucente, tutte le spiagge di fine sabbia, ogni velo di nebbia nelle foreste scure, ogni bagliore di luce e tutti gli insetti che vibrano sono sacri nelle tradizioni e nella coscienza del mio popolo. Sappiamo che l’uomo bianco non comprende il nostro modo di vita. Per lui, una zolla di terra è uguale all’altra. Perché egli è un estraneo che viene di notte e ruba tutto quello di cui necessita. La terra non è sua sorella, e dopo averla esaurita, lui va via. Lascia dietro di sé la tomba di suo padre, senza rimorsi di coscienza. Ruba la terra dei suo figli. Non rispetta. Scorda la sepoltura dei suoi antenati e il diritto del propri figli. La sua sete di possesso impoverirà la terra e lascerà dietro di sé deserti. La vista delle sua città è un tormento per gli occhi del pellerossa, un selvaggio che non capisce niente. Non si può incontrare la pace nella città dell’uomo bianco. Né un luogo dove si possa udire lo sbocciare delle foglie in primavera o il tintinnare delle ali degli insetti. Forse per il fatto di essere un selvaggio che non capisce niente, il fracasso delle città è per me un affronto alle orecchie. E che specie di vita è quella in cui l’uomo non può udire la voce del corvo notturno o il dialogare dei rospi nella lagna, di notte? Un indio preferisce il soave sussurro della brezza sullo specchio d’acqua e il proprio odore del vento, purificato dalla pioggia di mezzogiorno e dall’aroma dei pini. L’aria è preziosa per il pellerossa. Perché tutti gli esseri viventi respirano la stessa aria: animali, alberi, uomini. Non pare che l’uomo bianchi si interessi dell’aria che respira. Come un moribondo, egli è insensibile al cattivo odore.
Se io mi decidessi ad accettare, imporrei una condizione: l’uomo bianco deve trattare gli animali come se fossero suoi fratelli. Io sono un selvaggio e non capisco che possa essere certo in un’altra forma. Ho visto migliaia di bisonti imputridirsi nella prateria, abbandonati dall’uomo bianco che li abbatteva con tiri di fucile sparati dai treni in corsa. Sono un selvaggio e non capisco come un fumoso cavallo di ferro possa avere più valore di un bisonte che noi, gli indiani, uccidiamo solo per sostenere la nostra propria vita. Che cos’è l’uomo senza gli animali?
Se tutti gli animali non esistessero più, gli uomini morirebbero di solitudine spirituale, perché tutto quello che succede agli animali può accadere anche gli uomini. Tutto si relaziona. Tutto quello che ferisce la terra, ferisce anche i figli della terra. I nostri figli vedranno i loro padri umiliati nella sconfitta. I nostri guerrieri soccombono sotto il peso della vergogna. E dopo la sconfitta passano il tempo in ozio, avvelenando il loro corpo, con alimenti, dolci e bevande ardenti. Non ha molta importanza dove passeremo i nostri ultimi giorni: non sono molti. Alcune ore in più, forse solo qualche inverno, e nessuno dei figli delle grandi tribù che vissero in questa terra o che hanno vagato in piccole bande nei boschi, resterà per piangere sulle tombe, un popolo che un giorno fu tanto potente e pieno di fede in sé come il nostro. Una cosa sappiamo che forse un giorno l’uomo bianco scoprirà: il nostro Dio è lo stesso Dio. Egli pensa forse che lo può possedere alla stessa maniera di come desidera possedere la nostra terra. Ma non può. Egli è Dio dell’umanità intera. E vuol bene ugualmente al pellerossa come all’uomo bianco. La terra è amata da Lui. E causare danno alla terra significa dimostrare disprezzo al suo Creatore. Anche l’uomo bianco scomparirà, forse più in fretta delle altre razze. Continua inquinando il suo proprio letto e morirà una notte, soffocato dai suoi stessi rifiuti. Dopo aver abbattuto l’ultimo bisonte e domato tutti i cavalli selvaggi, quando i boschi misteriosi puzzeranno di gente e le ripide colline si riempiranno di vociferanti donne, cosa resterà delle savane? Non esisteranno più. E le aquile? Saranno andate via. Rimarrà solo dire addio alla rondine della torre e alla caccia della fine della vita e comincerà la lotta per sopravvivere. Forse capiremmo, se conoscessimo cosa sogna l’uomo bianco, se sapessimo quali speranze trasmette ai suoi figli nelle lunghe notti invernali, quali prospettive di futuro offre alla sua mente perché possa formare i desideri per il giorno di domani.
Ma noi siamo selvaggi. I sogni dell’uomo bianco sono occulti per noi. E siccome sono occulti, dobbiamo scegliere il nostro cammino.
Se acconsentissimo, sarebbe per garantire le riserve che ci prometteste. Là, forse, potremmo vivere i nostri ultimi giorni come noi desideriamo. Dopo che l’ultimo pellerossa sarà partito ed il suo ricordo non sarà più che l’ombra di una nuvola che passa sulle praterie, l’anima del mio popolo continuerà a vivere in queste foreste e spiagge perché noi le amiamo come un neonato ama il battito del cuore della sua mamma.
Se ti venderemo la nostra terra, amala come noi la amavamo. Proteggila come noi la proteggiamo. Non ti scordare mai come era la terra quando ne prendesti possesso. E con tutta la tua forza ed il tuo potere, e tutto il tuo cuore, conservala per i tuoi figli. Una cosa sappiamo: il nostro Dio è lo stesso Dio: Questa terra è amata da Lui. Neanche l’uomo bianco può evitare il nostro comune destino.
Lettera attribuita al Capo indiano Seathl (conosciuto anche come Capriolo Zoppo, 1780 – 1886), della tribù dei nativi americani Duwamish, al Presidente degli Stati Uniti d’America Franklin Pierce, 1853
(Diversi studiosi hanno avanzato seri dubbi sull’autenticità di questa lettera: sappiamo che in effetti Capo Seathl (o Seattle) ebbe un incontro con Isaac Stevens, allora governatore dei territori di Washington e che il dottor Henry Smith prese alcuni appunti del discorso tenuto in quella circostanza dal capo indiano, appunti che però trascrisse solo dopo molti anni.)

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