“E tu?”
Questa è la domanda con cui inizia ogni mattina. È sempre la stessa domanda che mi viene fatta e anch’io la faccio agli altri. Me la rivolgono i famigliari, gli amici, così come pure i colleghi, i conoscenti: le mie linee di difesa. Non riesco ancora a capire come possa essere vero: la guerra in Ucraina? Attaccata dalla Russia? Stanno bombardando le nostre città? Ho finito di scrivere il mio ultimo romanzo pochi giorni prima dell’inizio della guerra. La protagonista sogna la guerra, i suoi sogni influenzati dalle storie di sua nonna, che era stata prigioniera nel campo di Salaspils. Non ho ancora trovato la forza di rileggere il romanzo: provo ancora disgusto.
Un giorno troverò il coraggio di riscriverlo. Parlerò da testimone. Che paura quando si sentono urlare le sirene antiaeree presto la mattina di un normale giovedì. Spaventoso il fatto che continuavo a sorridere mentre facevo freneticamente le valigie, dando a vedere a mio figlio che non ero preoccupata. Terrificante che un magazzino sia esploso e bruciato davanti ai nostri occhi, a meno di duecento metri di distanza. Che abbiamo trascorso una notte circondati da barattoli di marmellata in una cantina per le patate a Odessa. Che mio nipote di tre anni, appena arrivato da Kharkiv, balbettava e piangeva. Che ero riluttante a decidere se dovessi restare con mio marito o andarmene per allontanare i bambini da tutto questo. Che abbiamo lasciato Odessa di notte: otto macchine, donne e bambini, cani e gatti. Per alcune di noi era la prima volta in assoluto al volante. Siamo state fermate a un posto di blocco: nessuna macchina poteva passare di notte. Improvvisamente sentimmo una donna della nostra carovana esclamare: “Conosco la parola d’ordine per passare! Mio marito me l’ha scritta prima di andare in guerra”.
Combattiamo una guerra dell’informazione tutta nostra. Ci svegliamo ogni mattina sperando che sia tutto finito. Che possiamo vivere, pianificare, scrivere di nuovo romanzi. Ma per ora, mando solo un messaggio a tutti: “E tu? Come stai?” Ricevere una risposta è l’unica cosa che conta.
Vladislava Ilinskaja, dalla rivista “The Paris Review” il 24 marzo 2022 – Traduzione di Pina Piccolo