Linguaggi

‘Na tazzulella ‘e cafè

12.02.2025

“Al mattino il caffè nero odora come il cielo della notte appena macinato.”

Fabrizio Caramagna

 

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Caffè

“Il mondo
tazza di caffè
fumante
pigro viavai
dei cucchiaini
smentita
da tutti gli sguardi
cannella diluita
il mondo intero
si ferma
in una tazza di caffè
fumante
fragile movimento
le ombre
ritte
nella notte
la pazzia
contagiosa
scappa
disegni nei fondi
Il mio berretto sul pavimento
il mondo trema
vibra
nell’ insonnia
davanti a una tazza di caffè
all’alba
finisce”

Margarita Muñiz, “Caffè”

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Matisse, “Testa di Laurette con una tazzina di caffè”, 1917,

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L’ultimo caffè

“Non poter dormire,
pe’ vecchi, brutto segno
di morte vicina:
vuol dire
che il congegno
vitale si scombina.

Solo
sul tetto
della vecchia casa dirimpetto
esala un fumajolo
a spire
nell’alba
umidiccia e scialba
un lieve fumo.
Là dirimpetto
abita un buon vecchietto
che certo è in cucina
per il suo caffè.

(Vicina
la morte
a chi non può dormire.)

Curvo sul fuoco
soffia il vecchietto forte;
poi la bianca tazza
solita
prepara: tre pezzetti
di zucchero, che amaro
gli sa sempre il caffè.
Schizza faville il fuoco.

(Vecchietto caro,
tu forse non m’aspetti.
Tra poco
pur verrai con me.)

Su la vasta piazza
dorme ancor l’ombra bassa;
qualche mattiniero
nero
vi passa.
Languida qualche stella
dal cielo occhieggia ancora.
Salutan la novella
squallida aurora
da presso e da lontano
i galli. Eccolo: dietro
il vetro
del balcon, pian piano
ora
sorseggia il buon vecchietto
caldo il suo caffè.
Prima che tragga il sorso,
vi soffia; chiude gli occhi:
chi sa che mai ricorda!
Forse gli sciocchi
sogni di questa notte.

Venivano
da bianche tombe
lontane
tante colombe
a frotte.
Di sotto il guanciale
sguisciava una serpetta
che gli dava un morso
sul cuore
senza fargli male.

Ancora, ancora un sorso,
vecchietto, non dar retta.
Perché ti guardi attorno?
Silenzio. Batton l’ore.
Le cinque. Chi t’aspetta?
È giorno, vedi? è giorno
già chiaro.
Finisci il tuo caffè.

(Poi, vecchietto caro,
fa’ cuore,
te ne verrai con me.)”
Luigi Pirandello, pubblicata su “La Riviera Ligure”, n.6, giugno 1912, oggi su “Poesie sparse” (1890-1933)
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Vincent van Gogh, “Uomo  con cilindro che beve caffè”, 1882, 
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Ode al caffè nero

Caro, caldo, buon caffè nero,
sia moca, turco, o serbo vero,
o Dio sa cosa d’altro esser può,
gentiluomo casalingo e no;
quando ti vedo davanti a me,
sei solo il buon fumante caffè.
Devi saper, infatti, e tu lo sai
(non così forse il lettore),
senza te lavorar non potrei,
la mente mia essendo già nei guai:
assai peggior sarebbe se
qui sulla scrivania non ci fosse
un thermos pieno di buon caffè.

P.e. questa rima balorda
Di “fosse” con “potrei” è madornale.
E che dire del condizionale?
È chiaro: sono giù di corda.
Il perché è molto evidente:
non ho preso caffè sufficiente!
Ora a questo pongo rimedio
e mi metto tosto al lavoro:
per le rime aumenta il dialetto!
È il caffè nero benedetto

Che funziona alla perfezione:
io ben so che è uno stregone!
Passa fratello per la gola
E non farlo una volta sola,
scendi trasforma notte in giorno,
agisci, caffè, fa’ come il forno,
manda il tuo fuoco verso l’ interno,
proteggimi dal raggio esterno.
Dicono che causi il batticuore
Che il sonno scacci e che il nervo muore.
Ma non so qual piacer si goda
Su questa terra impunemente
che la salute non ti roda:
nulla la vita da per niente.

Soldi, gloria, amor e così via
Tutto nel mondo è monotonia.
Il destino chiude la sua corsa
Entro la stessa morsa.
Ma basta di moca l’aroma
Per metter in moto un automa.
Io me ne infischio del malvagio
Che mi sussurra adagio adagio:
la caffeina è una minaccia che altro da questa vitaccia?
La vita è tutta sol malattia
Che porta alla morte e così sia!
Fino al fatale momento a te
resto fedele mio buon caffè.

 

Friedrich Torberg, 1929 

 

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Aubrey Beardsley, “Caffè nero”, 1895

 

 

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Caffè Tergeste

 

“Caffè Tergeste, ai tuoi tavoli bianchi

ripete l’ubbriaco il suo delirio;

ed io ci scrivo i miei piu allegri canti.

 

Caffè di ladri, di baldracche covo,

io soffersi ai tuoi tavoli il martirio,

lo soffersi a formarmi un cuore nuovo.

 

Pensavo: Quando bene avrò goduto

la morte, il nulla che in lei mi predico,

che mi ripagherà d’esser vissuto?

 

Di vantarmi magnanimo non oso;

ma, se il nascere è un fallo, io al mio nemico

sarei, per maggior colpa, più pietoso.

 

Caffè di plebe, dove un dì celavo

la mia faccia, con gioia oggi ti guardo.

E tu concili l’ítalo e lo slavo,

 

A tarda notte, lungo il tuo bigliardo.”

 


Umberto Saba, “Caffè Tergeste”, da  “La serena disperazione” (1913-1915),  in  “Canzoniere”1921

 

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Daniel Ridgway Knight, “Caffè in giardino”

 

 

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Immagine in evidenza: Alphonse Mucha , Senza titolo

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