“Come quasi tutti gli storici sanno, nella storia non c’è nemmeno un’ombra, o un barlume, di progresso ininterrotto. Quando sembra sul punto di giungere alla meta, la storia si ferma, bivacca per qualche tempo in un bosco o in una palude, si addormenta, produce catastrofi, ripercorre la strada che ha già percorso, procede a zig-zag. Credo che avesse ragione Leopardi, quando nel maggio 1833 scriveva a una sua amica fiorentina, Charlotte Bonaparte. “Quanto a me, cara signora, voi sapete bene che lo stato progressivo della società non mi riguarda per niente. Il mio stato, se non retrogrado, è eminentemente stazionario”.
Quindi entrerà in crisi il cosiddetto consumismo. Non sarà più possibile consumare, consumare, consumare: comprare una Bentley quando basta una bicicletta. Mi auguro che gli uomini ritrovino un giusto rapporto con le cose, che abbiamo comprato, ingoiato, sciupato, gettato con incredibile leggerezza per tanti anni. Oggi, sono troppe. Si accumulano da tutte le parti, l’automobile e la lavatrice, il quadro e il tappeto, cinquecento cravatte e quaranta paia di scarpe nell´armadio. Siamo ricoperti dagli oggetti: nascosti dagli oggetti; stanchi di quello che produciamo. Abbiamo smarrito la sensazione di come è fatta una cosa: del suo peso, del suo spessore, dei suoi colori, delle sue ombre, e del valore simbolico che può avere nella nostra vita. Non le amiamo più. Non possiamo amarle, visto che oggi sono diventate infinitamente sostituibili.
Tutti gli oggetti del mondo hanno diritto alla nostra attenzione e al nostro rispetto. Non ci sono cose sostituibili. Tutto ciò che esiste, sebbene fabbricato in serie, è unico. Anche una vecchia giacca, o una vecchia automobile, o una lavatrice che cade a pezzi chiedono il nostro riguardo. Dobbiamo recuperare le virtù della civiltà contadina, ritrovando la parsimonia, la sobrietà e quasi l’avarizia all’inizio del ventunesimo secolo. Non c’´è da possedere nulla, perché il possesso è una qualità che apparteneva ai tempi di Balzac, non a quelli moderni. Vorrei essere Virgilio, o Orazio, o Ariosto, o Manzoni nelle loro case di campagna. Amavano poche cose, le accarezzavano con la mente e la mano, contemplavano un grappolo d’uva, un albero, o un tramonto, abituandosi alla precisione, che noi abbiamo perduto”.