Non era come loro.
Gli abitanti dell’isola lo fissarono a lungo, sorpresi.
Si domandavano perché mai fosse venuto fin lì, e cosa potesse volere, e cosa mai fosse necessario fare, adesso. Uno di loro disse che la cosa migliore era rispedire il naufrago là da dove era venuto, nel suo paese, e disse che era meglio farlo più in fretta possibile. «D’altra parte», si dissero, «qui da noi non starebbe certo bene, così lontano dalla sua gente.»
Ma il pescatore sapeva che il mare è pericoloso. «Lo spediremmo dritto in bocca alla morte», disse, «e io non voglio averlo sulla coscienza. La cosa migliore è dargli soccorso.»
Lo condussero alla parte disabitata dell’isola, in una stalla che normalmente era destinata alle capre, e che da lungo tempo nessuno usava più. Gli fecero capire che doveva restare lì, e gli mostrarono della paglia, in un angolo: gli dissero che quello era il suo posto per dormire.
Poi sprangarono la porta della stalla e tornarono alla loro vita, quella di tutti i giorni, continuando a comportarsi come se nulla fosse successo.
Un giorno, l’uomo arrivò al villaggio.
La cosa fece scoppiare un putiferio. Gli uomini, gridando, lo fermarono. Lui cercò solo di spiegare che aveva fame, perché non mangiava da un sacco di tempo. Chiese se qualcuno poteva dargli qualcosa da mangiare.
«Ha ragione», disse il pescatore. «Fino a quando sta qui da noi, non possiamo abbandonarlo al suo destino. Dobbiamo aiutarlo.»
L’idea spaventava gli abitanti dell’isola.
«Non possiamo sfamare tutte le bocche che ci arrivano a casa», disse l’uomo del negozio, «finirà che a morire di fame saremo noi!»
Allora il pescatore propose di dare allo straniero un lavoro, così poteva guadagnarsi da vivere. «E, detto tra noi», aggiunse a bassa voce, «facile che lo si possa pagare molto meno di un lavoratore di qui.»
Giù, alla locanda, non hanno bisogno di un aiuto in cucina?
«Se lo prendo in cucina, più nessuno verrà a mangiare da me», borbottò il proprietario della locanda. «Perché non te lo prendi tu, a lavorare con te?»
Ma la barca del pescatore aveva un posto solo. E il carpentiere ricordò a tutti come era fatta male la zattera su cui l’uomo era arrivato: era evidente che non aveva nessuna idea di come si tenesse in mano un martello.
Il carrettiere disse semplicemente: «Guardatelo! A me serve gente in grado di sollevare dei bei pesi…»
Quanto al parroco, gli spiaceva davvero, ma la voce dello straniero non aveva nessuna possibilità di figurare bene nel coro della chiesa.
«Allora non ci resta che occuparci di lui tutti insieme», disse il pescatore. «Pensateci. L’abbiamo raccolto, e adesso, anche se non è dei nostri, siamo responsabili della sua vita.»
Alla fine, il proprietario della locanda si disse d’accordo a passare all’uomo gli avanzi della cucina, quelli che di solito gettava ai maiali. Così lo riportarono nella stalla. E sprangarono di nuovo la porta, più forte questa volta, così l’uomo non sarebbe tornato a turbare l’ordine pubblico.
Ma la verità è che da quel momento il pensiero dello straniero non li lasciò più in pace. Non gli avevano chiesto loro, di venire: ma lui era lì. Quello che avevano pensato di fare per lui non aveva risolto nulla, anzi. L’avevano accolto sulla loro isola, e adesso faceva parte della loro vita. Ormai ossessionava le loro giornate e i loro sogni.
Quando si parlava di lui, gli uomini ne evocavano a bassa voce la minaccia. Le donne restavano in cucina e proibivano ai bambini di avvicinarsi troppo alla stalla.
Il maestro di scuola parlò dei selvaggi e delle loro usanze.
Il proprietario della locanda raccontò che lo straniero mangiava con le mani. «E mangia anche le ossa!», disse.
Una madre avvertì il suo bambino: «Se non finisci la minestra lo straniero verrà qui e ti mangerà.»
«I bambini hanno paura di lui», raccontava il maestro, la sera, all’osteria.
«È sicuro che se solo avrà l’occasione ci ammazzerà tutti», dissero alla polizia.
Il giornale titolò: “Lo straniero semina la paura”. Nero su bianco.
E in effetti la paura cresceva.
Alcuni dissero che la situazione era ormai pericolosa. Bisogna fare qualcosa prima che sia troppo tardi, dissero altri. Era già abbastanza difficile così: non era possibile occuparsi anche degli altri. Sta a vedere che chiunque arriva…Quell’uomo non era di lì. Era uno straniero.
Doveva andarsene.
Così tornarono alla stalla… Presero l’uomo, lo condussero alla sua zattera e lo spinsero in mare.
In seguito, diedero fuoco alla barca del pescatore giacché era stato lui, in fondo, a costringerli ad accogliere quell’uomo.
Alcuni l’avevano difeso, ma furono gli altri a parlare più forte. Dicevano che non volevano più mangiare il pesce proveniente da quello stesso mare che aveva portato loro lo straniero.
Costruirono un muro altissimo tutt’intorno all’isola: aveva delle torri da cui si poteva sorvegliare il mare giorno e notte. Poi uccisero i gabbiani e i cormorani che passavano in volo: perché nessuno potesse sapere, là fuori, dell’esistenza dell’isola.