Linguaggi

Dialoghi

26.11.2021

“Il problema è capirsi. Oppure nessuno può capire nessuno: ogni merlo crede d’aver messo nel fischio un significato fondamentale per lui, ma che solo lui intende; l’altro gli ribatte qualcosa che non ha relazione con quello che lui ha detto; è un dialogo tra sordi, una conversazione senza né capo né coda. Ma i dialoghi umani sono forse qualcosa di diverso?

Italo Calvino, da “Palomar”, 1983

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“Lei gli chiese: “Dimmi qualcosa di carino!”
Lui le rispose, “∂ + m) ps = 0”
Questa è l’equazione di Dirac, l’equazione più bella della fisica.
Descrive il fenomeno della connessione quantistica, che sostiene che se due sistemi separati interagiscono tra loro per un determinato periodo di tempo e poi si separano, possiamo descriverli come due sistemi diversi, ma già esisteranno come un unico sistema. Ciò che accade a uno continuerà a influenzare l’altro, indipendentemente dalla distanza tra loro. Si chiama intrecciamento quantico o connessione quantistica. Due particelle che erano ad un certo punto collegate rimangono collegate per sempre, anche se sono distanti anni luce. Questo è ciò che accade a due persone quando sono collegate da ciò che noi umani chiamiamo Amore.”

Anonimo

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Dialogo

“Scilp: i passeri neri su lo spalto
corrono, molleggiando. Il terren sollo
rade la rondine e vanisce in alto:

vitt… videvitt. Per gli uni il casolare,
l’aia, il pagliaio con l’aereo stollo;
ma per l’altra il suo cielo ed il suo mare.

Questa, se gli olmi ingiallano la frasca,
cerca i palmizi di Gerusalemme:
quelli, allor che la foglia ultima casca,
restano ad aspettar le prime gemme.

Dib dib bilp bilp: e per le nebbie rare,
quando alla prima languida dolciura
l’olmo già sogna di rigermogliare,

lasciano a branchi la città sonora
e vanno, come per la mietitura,
alla campagna, dove si lavora.

Dopo sementa, presso l’abituro
il casereccio passero rimane;
e dal pagliaio, dentro il cielo oscuro
saluta le migranti oche lontane.

Fischia un grecale gelido, che rade:
copre un tendone i monti solitari:
a notte il vento rugge, urla: poi cade.

E tutto è bianco e tacito al mattino:
nuovo: e dai bianchi e muti casolari
il fumo sbalza, qua e là, turchino.

La neve! (Videvitt: la neve? il gelo?
ei di voi, rondini, ride:
bianco in terra, nero in cielo
v’è di voi chi vide… vide… videvitt?)

La neve! Allora poi che il cibo manca,
alla città dai mille campanili
scendono, alla città fumida e bianca;

a mendicare. Dalla lor grondaia
spìano nelle chiostre e nei cortili
la granata o il grembiul della massaia.

Tornano quindi ai campi, a seminare
veccia e saggina coi villani scalzi,
e — videvitt — venuta d’oltremare
trovano te, che scivoli, che sbalzi,

rondine, e canti; ma non sai la gioia
— scilp — della neve, il giorno che dimoia.”

 

Giovanni Pascoli, “Dialogo”, da “Myricae”, 1891

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Rondini

 

– Rondini, ma dov’è che siete?
È l’8 aprile e ancora non vi vedo.
Ma che è successo?
– Ciao, siamo ancora quasi tutte in Spagna
e molte ancora non hanno passato Gibilterra.
– Ma perché, che è successo?
– Mah, non lo so, intanto il clima è strano
e così non ci capiamo più niente,
poi in Nigeria ci stanno sterminando
tirano degli ami nell’aria
e ci acchiappano come pesci…
Poi, non so, siamo un po’ stanche,
ci sono stati vari litigi, risse
non so nemmeno io perché.
– Ehi non fate brutti scherzi,
qui avete le vostre case
che vi aspettano per il nido,
qui dovete moltiplicarvi
e diventare sempre più belle.
– Ma guarda, io penso un paio di giorni
e ne arriverà la più parte.
Alcune stanno già sulla Sardegna.
– Andate piano, non vi affaticate
fate sempre molte tappe
non mangiate gli insetti che pungono
e bevete molta acqua.
Io vi aspetto allora, ciao, buon viaggio.
Claudio Damiani, da “Cieli celesti”, 2016
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Bruno Liljefors, “Rondoni”, 1886
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Colloquio notturno molto triste
– Dovresti avere molti amanti.
– Lo so, caro.
– Ho avuto molte donne.
– Ho avuto molti uomini, caro.
– Sono un uomo finito.
– Sì, caro.
– Non fidarti di me.
– Non mi fido, caro.
– Temo la morte.
– Anche io, caro.
– Non lasciarmi.
– No, caro.
– Sono solo.
– Come me, caro.
– Stringiti a me.
– Buonanotte, caro.
Anna Świrszczyńska (poetessa polacca), 1972 – Traduzione di Paolo Statuti
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Ron Hicks
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Discorso tra un’ape e una foglia
(da una poesia di G. Leopardi che imita Arnault)

“Dove vai? Dove voli tutta sola?
Chiede l’ape alla foglia dalla soglia
di un petalo di rosa. Vado – risponde quella –
dove va ogni altra cosa, come il fiume e la stella.
Ho lasciato il mio ramo, un bel fusto d’alloro
e vado vagando d’intorno e tutto intorno ignoro.
Non diversa da te sarò confusa nel resto
nell’impasto del mondo che più prima di presto
ci fa uguali sorelle nel vento disperse
per sempre le stesse noi ora tanto diverse.”

 

Azzurra D’Agostino

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I rospi e l’aquila
“A mezzanotte, se nun c’è la luna,
la Lega de li Rospi se raduna
sull’orlo d’un pantano puzzolente.
Ecco ch’er Presidente
se sgargarozza e spiega
lo scopo de la Lega,
ch’è quello de da’ addosso
a chi nun sente simpatia p’er fosso.
— Cari colleghi, la diffamazzione
è tutta una questione de maniera:
in certe circostanze fa più effetto
una cosa che nasce da un sospetto
che quanno nasce da una storia vera.
Dunque inventate, giù! Sotto a chi tocca!
cór fiele in core e cór veleno in bocca!
Nell’urtima riunione
se la semo pijata cór Leone;
stanotte, invece, avemo da di’ male
dell’Aquila reale,
in modo che j’arivi e je rimanga
quarche schizzo de fanga… —
Un vecchio Rospo scivoloso e grasso,
spaparacchiato su la panza floscia,
slarga le cianche debboli e se scoscia
per arrivà su un sasso.
— Compagni! — dice poi —
L’Aquila che se dà tutta ‘sta boria
nun è che la ruffiana de la Gloria
che specula sur sangue de l’Eroi!
— È vero! — Bene! — Bravo! — Morte all’Aquila!
— Abbasso! — Evviva noi! —
Er Rospo fa un inchino
e ricomincia la requisitoria:
— Io nun capisco come
quela bestiaccia co’ quer becco a uncino
s’è fatto tanto nome ne la Storia!
Per me nun cià che un merito! Uno solo!
Vola! E va be’. Ma a che je serve er volo?
Nojantri Rospi senza annà lontano
vedemo tutto er monno che se specchia
ner fonno der pantano:
dunque nun è ‘na cosa necessaria
d’arivà, come lei, tanto per aria!
— Perché je torna conto!
— barbotta un socio — Infatti ciò la prova
che certi giorni, prima der tramonto,
rubba l’oro a le nuvole che trova…
— È una ladra! Una spia!
— strilla er più giallo de la compagnia —
Ma, se viè qui, je romperemo l’ossa!
J’addrizzeremo quele gambe storte!
— Morte a l’infame! — Morte! —
E la buriana seguita, s’ingrossa
e l’improperie schizzeno più forte.
Ma appena spunta in cima a la montagna
la prima luce rosa
che ridà li colori a la campagna,
ogni Rospo s’azzitta e con un zompo
se rischiaffa nell’acqua mollacciosa.
Ciacchete! Un tonfo e poi… nun resta a galla
che quarche bolla e un po’ de schiuma gialla…”

Trilussa, “Li rospi contro l’aquila”

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Il mare e il ruscello

 

“Il Mare disse “Vieni” al Ruscello –
Il Ruscello rispose “Lasciami crescere” –
Il Mare disse “Allora sarai un Mare –
Io voglio un Ruscello – Vieni adesso!”

Il Mare disse “Vai” al Mare –
Il Mare rispose “sono colui
che avevi caro” – “Dotte Acque –
la Saggezza è stantia – per Me”

 

Emily Dickinson

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Io e l’eco
Sei un’eco?
Se dico “Giochiamo?”
tu dici: “Giochiamo!”
Se dico “Stupido!”
tu dici “Stupido!”
Se dico “Non voglio più giocare”
tu dici “Non voglio più giocare”.
E poi, dopo un po’,
diventando solitario
Dico “Mi dispiace”.
Tu dici “Mi dispiace”.
Sei solo un’eco?
No, siete tutti.

Kaneko Misuzu (1903-1930), poetessa giapponese

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Il filo d’erba e la foglia

 

“Disse un filo d’erba a una foglia d’autunno:

«Fai un tale rumore cadendo! Spargi di qua e di là tutti i miei sogni invernali».

Disse indignata la foglia: «Tu, nato in basso, che in basso vivi!
Piccolo stizzoso, senza canti!
Tu non vivi nella regione superiore dell’aria e non puoi esprimere né suoni né canti».

Poi la foglia d’autunno giacque sulla terra e s’addormentò.
E quando fu primavera, si risvegliò: ed era un filo d’erba.
E quando ritornò l’autunno e il sonno dell’inverno fu sopra di lei,
e su di lei per tutta l’aria intorno cadevano le foglie, mormorò tra sé:
«Queste foglie d’autunno! Fanno un tale rumore!
Spargono e disperdono tutti i miei sogni».”

 

Kahlil Gibran, “Disse un filo d’erba”, da “Il folle”

 

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Ribattuta
                             “Il guardiacaccia,
                              con un sorriso ironico:
– Cacciatore, la preda
che cerchi, io mai la vidi.
                              Il cacciatore,
                              imbracciando il fucile:
– Zitto. Dio esiste soltando
nell’attimo in cui lo uccidi.”
Giorgio Caproni, da “Tutte le poesie”, 1983

 

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Pieter Bruegel il Vecchio, “Cacciatori nella neve”, 1565

 

 

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La canna e il vento
“Non era mai accaduto.
Nel boschetto
gli alberi erano tutti innamorati
di una canna,
una cannuccia sottile
che amava invece il vento,
il vento che porta la pioggia.
Così il boschetto l’aveva ripudiata.
La canna innamorata
rispose: “Per me questo va bene”.
Voi state pure tutti da una parte,
ché dall’altra c’è il vento della pioggia.
Così vuole il mio cuore.
Il boschetto, offeso,
sentenziò la morte per quell’innamorata dagli occhi di rugiada.
Chiamò il picchio dal becco forte,
e il picchio colpì nel cuore
tre, quattro, cinque volte
nel cuore della piccola canna.
Da quel giorno
la canna innamorata divenne flauto
e da quel giorno
le ferite degli amanti
parlano con le dita del vento
e cantano,
ovunque nel mondo,
da quel giorno.”

Sherko Bekas (1940-2013), poeta e attivista curdo: “La canna e il vento”

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L’usignolo e il cardellino
“Disse il cardellino all’usignolo che se ne stava muto:
“Peccato che canti poco”.
L’usignolo rispose arguto:
“Ciò che la natura mi ha dato, eseguo fedelmente.
Meglio poco, ma bene, che molto e assai mediocremente”.

Ignacy Krasicki

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Dipinto in pietra realizzato dalla Bottega Scarpelli di Firenze

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Conversazione con una pietra

“Busso alla porta della pietra
– Sono io, fammi entrare.
Voglio venirti dentro,
dare un’occhiata,
respirarti come l’aria.

– Vattene – dice la pietra.
Sono ermeticamente chiusa.
Anche fatte a pezzi
saremo chiuse ermeticamente.
Anche ridotte in polvere
non faremo entrare nessuno.

Busso alla porta della pietra.
– Sono io, fammi entrare.
Vengo per pura curiosità.
La vita è la sua unica occasione.
Vorrei girare per il tuo palazzo,
e visitare poi anche la foglia e la goccia d’acqua.
Ho poco tempo per farlo.
La mia mortalità dovrebbe commuoverti.
– Sono di pietra – dice la pietra
– E devo restare seria per forza.
Vattene via.
Non ho i muscoli per ridere.

Busso alla porta della pietra.
– Sono io, fammi entrare.
Dicono che in te ci sono grandi sale vuote,
mai viste, belle invano,
sorde, senza l’eco di alcun passo.
Ammetti che tu stessa ne sai poco.

– Sale grandi e vuote – dice la pietra
ma in esse non c’è spazio.
Belle, può darsi, ma al di là del gusto
dei tuoi poveri sensi.
Puoi conoscermi, però mai fino in fondo.
Con tutta la superficie mi rivolgo a te,
ma tutto il mio interno è girato altrove.

Busso alla porta della pietra
– Sono io, fammi entrare.
Non cerco in te un rifugio per l’eternità.
Non sono infelice.
Non sono senza casa.
Il mio mondo è degno di ritorno.
Entrerò e uscirò a mani vuote.
E come prova d’esserci davvero stata
porterò solo parole,
a cui nessuno presterà fede.

– Non entrerai – dice la pietra.-
Ti manca il senso del partecipare.
Nessun senso ti sostituirà quello del partecipare.
Anche una vista affilata fino all’onniveggenza
a nulla ti servirà senza il senso del partecipare.
Non entrerai, non hai che un senso di quel senso,
appena un germe, solo una parvenza.

Busso alla porta della pietra.
– Sono io, fammi entrare.
Non posso attendere duemila secoli
per entrare sotto il tuo tetto.

– Se non mi credi – dice la pietra-
rivolgiti alla foglia, dirà la stessa cosa.
Chiedi a una goccia d’acqua, dirà come la foglia.
Chiedi infine a un capello della tua testa.
Scoppio dal ridere, d’una immensa risata
che non so far scoppiare.

Busso alla porta della pietra.
– Sono io, fammi entrare.
– Non ho porta – dice la pietra.”

Wislawa Szymborska

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L’albero e la farfalla 
“L’inverno non è per sempre –
diceva l’albero alla farfalla
che si posava lieve sul primo fiore –
ricordi che piangevo il tuo amore
nei giorni freddi della neve
ma anche la morte è breve
e tu ritorni con ali nuove e un nuovo cuore
non ti chiedo dove sei stata
intanto che cambiavi il colore delle ali
ed io dormivo nel cuore di ogni gemma
muto al dolore della vita ferma
nel mio tempo lungo tu ritorni
farfalla, ape, a volte uomo
io, albero antico, conto i giorni
che ancora avrò da rifiorire
so che un giorno andremo insieme
stupore e meraviglia a divenire”

Mariangela Ruggiu

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L’attesa ardente

«Sai aspettare?»
«So bruciare».
«Fino alle braci?»
«Fino alle braci».
«È perfetto».

Chandra Livia Candiani, “L’attesa ardente”

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Christian Schloe

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E disse – ma a chi si rivolgeva?

“(E disse – ma a chi si rivolgeva?
«Sui vostri corpi messi a nudo, fratelli,
la luce fu ferro arroventato.»)

(Ed ella disse per lui:
«Il cielo era sereno
e la mano per frontiera.
Violenza, cieca violenza.»)

«Quale fine stagione potrebbe menar vanto
di tanto amore?
E quale passata stagione accontentarsi di altrettanta
cenere?» disse il viandante.”

Edmond Jabès

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Domando al piombo

“Domando al piombo
perché ti sei lasciato
fondere in pallottola?
Ti sei forse scordato degli alchimisti?
Hai perso qualsiasi speranza
di diventare oro?
Nessuno mi risponde.
Pallottola. Piombo. Con nomi
del genere
il sonno è lungo e profondo.”
Charles Simic (poeta serbo), “Domando al piombo”
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– Quanto tempo – dirai
– Quanto tempo – dirai.
E ci sarà
odore di treni, di fritto
e una piuma di vento marino
già all’Uscita. Sugli agri giardinetti
della Stazione tornerà la luna.
– Come va – chiederai. Da un indomato
vecchio spiccio poema d’amore
sorriderti sarà meraviglioso:
– Bene, quando ti vedo.
Daria Menicanti, da “Un nero d’ombra”
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Edvard Munch, “Cipresso al chiaro di luna”, 1892
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Due elementi
“La fiamma dice al cipresso
Quando vedo
Quanto sei tranquillo
Quanto sei avvolto di genio
Qualcosa dentro di me freme
Come si può attraversare la vita
Questa terribile
Senza un briciolo di follia
Senza un briciolo di spiritualità
Senza un briciolo di immaginazione
Senza un briciolo di libertà
Con antica e desolante arroganza.
Se avessi potuto avrei bruciato
L’istituzione
Dal nome periodi dell’anno
E la tua dannata dipendenza
Dal terreno, dall’aria, dal sole, dalla pioggia e dalla rugiada.
Il cipresso è in silenzio,
Sa di avere pazzia
Di avere libertà
Di avere immaginazione
Di avere spiritualità
Ma la fiamma non capirà
La fiamma non ci crederà.”
Zelda, da “Shney yesodot”, 1979 – Traduzione di Gaia Piperno
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Nell’immagine: Foto di Rodney Smith

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