Pensieri

Il Linguaggio nella Quarta Via

02.12.2021
“Una delle ragioni della divergenza nella nostra vita fra la linea del sapere e la linea dell’essere, in altri termini, la mancanza di com­prensione che è in parte causa e in parte effetto di questa divergenza, si trova nel linguaggio parlato dalla gente. Questo linguaggio è pieno di concetti falsi, di classificazioni false, di associazioni false. Soprattutto: le caratteristiche essenziali del pensare ordinario, la sua vacuità e la sua imprecisione fanno sì che ogni parola può avere migliaia di signi­ficati differenti, secondo il bagaglio di cui dispone colui che parla, e l’insieme di associazioni in gioco al momento stesso. Le persone non si accorgono quanto il loro linguaggio sia soggettivo e quanto le cose ­che dicono siano diverse, benché impieghino tutti le stesse parole. Non vedono che ognuno parla una lingua sua propria, non compren­dendo affatto o solo in modo vago quella degli altri, e non avendo la minima idea del fatto che gli altri parlano sempre in una lingua a loro sconosciuta. Le persone sono assolutamente convinte di avere una lingua comune e di comprendersi reciprocamente, ma, in realtà, questa convinzione non ha il minimo fondamento. Le parole delle quali fanno uso sono adattate ai bisogni della vita pratica; possono in tal modo scambiarsi delle informazioni di carattere pratico, ma non appena pas­sano in un campo un po’ più complesso, si smarriscono e cessano di comprendersi, benché non se ne rendano conto. Le persone credono spesso, o addirittura sempre, di comprendersi o comunque immaginano che potrebbero comprendersi se soltanto volessero darsene la pena; immaginano anche di comprendere gli autori dei libri che leggono e di non essere le sole capaci di questo. È ancora una delle illusioni che si fanno e in mezzo alle quali vivono.
In effetti, nessuno capisce gli altri. Due uomini possono, con una profonda convinzione, dire la stessa cosa, ma con parole diverse e discutere all’infinito senza sospettare che il loro pensiero sia esattamente lo stesso. Oppure inversamente, due uomini possono usare le stesse parole e immaginare allora di essere d’accordo e di comprendersi, mentre in realtà dicono cose assoluta­mente mente diverse e non si comprendono affatto.
Prendiamo le parole più semplici, quelle che ritornano costante­mente sulle nostre labbra e cerchiamo di analizzare il senso che viene loro dato: noi vedremo che ad ogni istante un uomo mette in ogni parola un senso speciale che un altro uomo non vi mette mai e che non sospetta neppure.
Prendiamo la parola “uomo”, per esempio, e immaginiamo una conversazione in cui questa parola ricorra sovente. Senza esagerare, ci saranno per la parola “uomo” tanti significati quante sono le persone presenti, e questi significati non avranno tra loro nulla di comune.
«Pronunciando la parola “uomo”, ognuno se la prospetterà involon­tariamente dal punto di vista dal quale egli guarda l’uomo in generale, o dal quale egli lo guarda attualmente per tale o talaltra ragione. Così una persona può essere preoccupata dalla questione sessuale. Allora la parola “uomo” perderà per essa il suo senso generale e ascoltandola si domanderà subito: Chi? Uomo o donna? Un altro può essere devoto, e la sua prima domanda sarà: cristiano o non cristiano? Il terzo può essere medico, e il concetto “uomo” si ridurrà per lui a sano o malato… e, beninteso, dal punto di vista della sua specialità! Uno spiritista pen­serà all’uomo dal punto di vista dal suo “corpo astrale” e della `vita dell’aldilà’, ecc., e dirà, se lo si interroga, che vi sono due qualità di uomini, i medium e i non medium. Per un naturalista, il centro di gravità dei suoi pensieri sarà l’idea dell’uomo dal punto di vista del tipo zoologico, egli avrà dunque particolarmente in vista la struttura del cranio, la distanza interoculare, l’angolo facciale… Un uomo di legge vedrà nell’ ‘uomo’ un’unità statistica, o un soggetto per l’applicazione della legge, un criminale in potenza o un possibile cliente. Un mora­lista quando pronuncerà la parola ‘uomo’ non mancherà di introdurvi l’idea del bene e del male. E così di seguito senza fine.
La gente non nota tutte queste contraddizioni, non vede che parla sempre di cose differenti, che non si comprende mai. È evidente che per degli studi ben condotti, per uno scambio esatto di pensieri, un linguaggio esatto è necessario, un linguaggio che renda possibile espri­mere effettivamente ciò che si vuol dire, che permetta di includere ogni volta una indicazione del punto di vista dal quale si considera un con­cetto dato, affinché il centro di gravità del concetto sia ben determi­nato. Questa idea è perfettamente chiara e ogni ramo della scienza si sforza di elaborare e di stabilire un linguaggio esatto. Ma non esiste una lingua universale. La gente continua a confondere le lingue delle differenti scienze, e non può mai stabilire i loro giusti rapporti. Anche in ciascun ramo della scienza preso isolatamente, nuove terminologie, nuove nomenclature appaiono continuamente. E più vanno avanti le cose, peggio diventano. L’incomprensione reciproca, lungi dal dimi­nuire, non fa che crescere, e vi sono tutte le ragioni per pensare che ciò non farà che amplificarsi sempre nello stesso senso. Le persone si comprenderanno sempre meno.
Per una comprensione esatta, un linguaggio esatto è necessario. E lo studio dei sistemi dell’antica conoscenza, comincia con lo studio di un linguaggio che permetterà di precisare immediatamente ciò che viene detto, da quale punto di vista è detto, e sotto quale rapporto. Questo linguaggio nuovo non contiene per così dire termini nuovi, né nuove nomenclature, ma la sua struttura si basa su un principio nuovo: il principio di relatività. In altri termini esso introduce la relatività in tutti i concetti e rende così possibile una determinazione precisa dell’angolo del pensiero. Giacché il linguaggio ordinario difetta mag­giormente proprio nei termini esprimenti la relatività.
Quando un uomo ha assimilato questo linguaggio nuovo, allora col suo aiuto possono essergli trasmesse tutte le conoscenze e informazioni che non possono essere trasmesse attraverso il linguaggio ordinario, anche con un grande apporto di termini filosofici e scientifici.
La proprietà fondamentale di questo nuovo linguaggio consiste nel fatto che tutte le idee si concentrano attorno a una sola idea; vale a dire esse sono tutte prospettate nella loro relazione reciproca, dal punto di vista di una idea unica. Questa idea è l’idea dell’evoluzione. Naturalmente, non nel senso di una evoluzione meccanica, poiché questa non esiste, ma nel senso di una evoluzione cosciente e volontaria. Questa è la sola possibile.
Non vi è nulla nel mondo, dal sistema solare fino all’uomo e dall’uomo fino all’atomo, che non salga o non scenda, che non si evolva o non degeneri, che non si sviluppi o non decada. Ma nulla si evolve meccanicamente. Solo la degenerazione e la distruzione procedono meccanicamente. Ciò che non può evolversi coscientemente, degenera. L’aiuto esterno non è possibile che nella misura in cui è apprezzato e accettato, anche se esso lo è all’inizio solo dal sentimento.
Il linguaggio che permette la comprensione si basa sulla conoscenza del rapporto dell’oggetto che si esamina con la sua evoluzione possibile, sulla conoscenza del suo posto nella scala evolutiva.
A questo fine, un gran numero delle nostre idee comuni sono divise in conformità agli stadi di questa evoluzione.”

Pëtr Dem’janovič Uspenskij

Joan Mirò, “Donna e uccello nel chiaro di luna”, 1949

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