Pensieri

Dell’esperienza

31.12.2021

“Non c’è desiderio più naturale del desiderio di conoscenza. Noi saggiamo tutte le strade che possono condurci ad essa. Quando la ragione ci fa difetto, ci serviamo dell’esperienza..
Non so che cosa dirne, ma si prova per esperienza che tante interpretazioni dissolvono la verità e la distruggono..
Non è altro che debolezza personale quella che ci fa accontentare di ciò che altri o noi stessi abbiamo trovato in questa caccia alla conoscenza; uno più sottile non se ne accontenterà. Cosa che Apollo dimostrava a sufficienza, parlandoci sempre in un modo ambiguo, oscuro e obliquo, non appagandoci, ma dandoci un bel da fare e tenendoci occupati. C’è più da fare a interpretare le interpretazioni che a interpretare le cose, e ci sono più libri sui libri che su altri argomenti: non facciamo che commentarci a vicenda..
Io studio me stesso più d’ogni altro soggetto. E’ la mia metafisica e la mia fisica..
Questa lunga attenzione che metto nell’osservarmi m’abitua a giudicare passabilmente anche gli altri, e ci sono poche cose di cui io parli in maniera
più felice e accettabile. M’accade spesso di vedere e distinguere le qualità dei miei amici più esattamente di quanto facciano loro stessi. Ne ho stupito alcuni per la pertinenza della mia descrizione e li ho resi consci di se stessi. Essendomi abituato fin dall’infanzia a guardare la mia vita riflessa in quella altrui, ho acquistato in questo un’indole osservatrice e, quando ci faccio attenzione, mi lascio sfuggire poche cose che vi siano utili: atteggiamenti, umori, discorsi. Osservo tutto: quello che devo evitare, quello che devo seguire. Così rivelo ai miei amici, dalle loro manifestazioni esteriori, le loro inclinazioni: non certo, tuttavia, per sottoporre quell’infinita varietà di azioni, così diverse e slegate, a certi generi e capitoli, e distribuire distintamente le partizioni e divisioni in classi e categorie conosciute,

Sarebbe impossibile enumerarne tutte le specie e dirne i nomi: Virgilio, Georgiche, II, 103

Insomma, tutto questo cibreo [discorso sconclusionato, ndc.] che vado scarabocchiando qui non è che un registro delle esperienze della mia vita che è, per la salute interiore, abbastanza esemplare, a prenderne l’insegnamento alla rovescia.
La mia salute, è mantenere senza disturbo il mio stato abituale. Non credo niente con maggior certezza di questo: che non potrò esser danneggiato dall’uso di cose alle quali sono abituato da tanto tempo..
La migliore delle mie tendenze naturali e d’esser duttile e poco ostinato; ho inclinazioni più personali e consuete e più piacevoli di altre; ma con pochissimo sforzo me ne allontano, e mi conformo facilmente al modo contrario.
Io non so che cosa i malati possano fare di meglio che attenersi tranquillamente al tenore di vita in cui sono stati educati e allevati. Il cambiamento, qualunque sia, stordisce e nuoce. Andate a far credere che le castagne facciano male a un perigordino o a un lucchese, e il latte e il formaggio alla gente di montagna. Si va a prescriver loro un tenore di vita non solo nuovo, ma opposto: cambiamento che un sano non potrebbe sopportare..
Bisogna imparare a sopportare quello che non si può evitare. La nostra vita è composta, come l’armonia del mondo, di cose contrarie, e anche di toni diversi, dolci e aspri, acuti e bassi, molli e gravi. Il musicista che amasse solo i primi, che cosa vorrebbe dire? Bisogna che sappia servirsene nel complesso e mescolarli. E così noi, i beni e i mali, che sono consustanziali alla nostra vita. Il nostro essere non può sussistere senza questa mescolanza, e una parte non vi è meno necessaria dell’altra..
Io tratto la mia immaginazione più dolcemente che posso, e la libererei, se potessi, da ogni pena e contrarietà. Bisogna soccorrerla e lusingarla, e ingannarla se si può. Il mio spirito è adatto a questo scopo: non gli mancano argomenti plausibili in ogni caso; se sapesse persuadere come sa predicare, mi darebbe un grande aiuto.
Con tali argomenti io cerco d’addormentare e di distrarre la mia immaginazione, come Cicerone il male della sua vecchiaia, e d’ungere le sue ferite. Se peggiorano domani, domani vi provvederemo con altre scappatoie.
Mi giudico solo per quello che sento veramente, non per ragionamento.
Non porto le gambe e le cosce più coperte d’inverno che d’estate, una semplice calza di seta. Mi son lasciato andare, per giovare ai miei catarri, a tener la testa più calda, e il ventre per la mia renella; i miei mali vi si abituarono in pochi giorni e sdegnarono le mie precauzioni consuete. Ero passato da un berrettino a un copricapo, e da un berretto a un cappello doppio. Le imbottiture della mia giubba non mi servono più che per ornamento, non conta niente se non v’aggiungo una pelliccia di lepre o d’avvoltoio, una papalina in testa. Seguite questa gradazione, andrete lontano. Io non ne farò di nulla, e tornerei volentieri indietro da dove ho cominciato, se osassi. Vi capita qualche nuovo inconveniente? Questa regola non vi serve più: vi ci siete abituato; cercatene un’altra. Così si rovinano quelli che si lasciano vincolare a regimi severi e vi si attengono scrupolosamente: ne occorrono loro altri, e poi altri ancora oltre quelli; e così non si finisce mai..
Esito a riconoscere che il mio udito cominci a indebolirsi, e vedrete che l’avrò perduto a metà e me la prenderò ancora con la voce di quelli che mi parlano. Bisogna tener l’anima ben desta per farle sentire come se ne va.
Comporre i nostri costumi è il nostro compito, non comporre dei libri, e conquistare non battaglie e province, ma l’ordine e la tranquillità della nostra vita. Il nostro grande e glorioso capolavoro è vivere come si deve. Tutte le altre cose, regnare, ammassar tesori, costruire, non sono per lo più che appendici e ammennicoli..
Ho un vocabolario tutto mio particolare: io passo il tempo, quando è cattivo e fastidioso; quando è bello, non voglio passarlo, lo ripercorro, mi ci indugio. Bisogna trascorrere sul cattivo e fermarsi sul buono. Questa espressione abituale di ‘passatempo’ e di ‘passare il tempo’ riflette l’abitudine di quelle persone prudenti che non pensano di poter trarre miglior frutto dalla loro vita che lasciandola scorrere e sfuggire, passandola, evitandola e, per quanto sta in loro, ignorandola e fuggendola, come cosa di natura noiosa e disprezzabile. Ma io la conosco diversa, e la trovo apprezzabile e comoda, anche nel suo estremo declino, in cui mi trovo; e natura ce l’ha messa fra le mani fornita di circostanze tali e tanto favorevoli che dobbiamo prendercela soltanto con noi stessi se ci affligge e ci sfugge senza frutto. Soprattutto ora che vedo la mia così breve quanto a tempo, voglio aumentarla quanto a peso; con la mia prontezza nell’afferrarla voglio fermare la sua velocità nel fuggire, e con l’intensità dell’uso compensare la fretta del suo scorrere; quanto più breve è il possesso della vita, tanto più profondo e più pieno devo renderlo.
Gli altri sentono la dolcezza d’una soddisfazione e della prosperità; io la sento come loro, ma non di passaggio e di sfuggita. Invero occorre studiarla, assaporarla e ruminarla per renderne meritatamente grazie a colui che ce la concede. Essi godono degli altri piaceri come fanno di quelli del sonno, senza conoscerli. Affinché lo stesso dormire non mi sfuggisse così stupidamente, tempo fa ho trovato giovevole che mi venisse disturbato perché lo avvertissi. Io medito in me stesso su una soddisfazione, non ne raccolgo soltanto la schiuma; la scandaglio e costringo la mia ragione, divenuta malinconica e svogliata, ad accoglierla. Mi trovo in una disposizione tranquilla? C’è qualche piacere che mi solletica? Non lo lascio arraffare dai sensi, vi associo la mia anima, non perché vi si impegni, ma perché vi si diletti, non perché vi si perda, ma perché vi si trovi; e mi servo di essa affinché per parte sua si rimiri in quella florida situazione, ne soppesi e ne valuti la felicità e l’accresca.
Delle opinioni della filosofia abbraccio più volentieri quelle che sono più solide, cioè più umane e nostre; i miei ragionamenti sono, conformemente ai miei costumi, modesti e umili.
E fra le nostre scienze, mi sembrano più terrestri e basse quelle che sono poste più in alto. E non trovo nulla di così meschino e di così mortale nella vita di Alessandro come le sue fantasie sulla sua immortalità. Filota lo punzecchiò argutamente con la sua risposta: in una lettera si rallegrava con lui per l’oracolo di Giove Ammonio che l’aveva collocato fra gli dei: – Per te ne sono ben lieto, ma c’è di che compiangere gli uomini che dovranno vivere con un uomo e obbedirgli, mentre egli supera la misura d’un uomo e non se ne accontenta -.
E’ una perfezione assoluta, e quasi divina, saper godere lealmente del proprio essere. Noi cerchiamo altre condizioni perché non comprendiamo l’uso delle nostre, e usciamo fuori di noi perché non sappiamo che cosa c’è dentro. Così, abbiamo un bel montare sui trampoli, ma anche sui trampoli bisogna camminare con le nostre gambe. E anche sul più alto trono del mondo non siamo seduti che sul nostro culo.”

Michel de Montaigne, “Dell’esperienza” in “Saggi”. vol. II

Lascia un commento