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Il sijo coreano

16.02.2022

Il sijo (letteralmente “ritmo del tempo”) è un’ antica forma di componimento poetico coreano, costituito da tre versi (o meglio, “linee”) di 14-16 sillabe ciascuno, per un totale di 44-46 sillabe. Ogni riga è inframezzata da una pausa che la divide all’incirca in 6-9 sillabe. Solitamente il primo verso/linea introduce la situazione o il problema, che poi il secondo verso/linea sviluppa e completa, così come può, all’opposto, imprimergli un andamento diverso. Il terzo verso “chiude” – per così dire – il componimento poetico, ma solo dopo aver introdotto la cosiddetta “torsione”: un brusco cambiamento (in genere affidato ad un verbo o ad un aggettivo) che stravolge quanto detto nelle prime linee.

“Rifiorito giardino, appartato cammino,
dove ci scaldavano i nostri sogni gentili,
“poi tutto si congelò” (torsione) riflettendo la tua stella.”

Il sijo (che non ha mai un titolo, ma viene comunemente indicato col primo verso) può prestarsi a raccontare una storia, a descrivere un’ idea, o a esprimere un’emozione. Anche nel sijo, come nell’haiku e nel tanka giapponesi, non mancano i riferimenti alla natura, ma in questo caso espressi in forma più allusiva, quasi sempre  mediante il ricorso a metafore, suoni o giochi di parole.

“Se questo corpo muore e muore di nuovo centinaia di volte,
ossa bianche che diventano polvere, con o senza traccia di anima,
il mio fermo cuore verso il signore, potrebbe mai svanire?”

(Jeong Mong-ju, 1337-1392)

“Come il suono del tamburo chiama la mia vita,
giro la testa lì dove sta per tramontare il sole.
Non c’è nessuna locanda sulla strada per gli inferi.
A casa di chi dovrei dormire stanotte?”

(Soeng Sam- mun, 1418-1456)

Il sijo compare a partire dal IXV secolo sotto forma di canzone con l’accompagnamento musicale del liuto.
Questo genere di poesia, nata in ambienti aristocratici per veicolare concetti religiosi o filosofici, veniva inizialmente trasmessa soltanto per via orale. Fu con l’invenzione, nel 1443, dell’alfabeto “hangul” e con la conseguente alfabetizzazione del popolo, che cominciò a diffondersi anche fra i ceti che non sapevano leggere i caratteri cinesi.

“Chiedete quanti amici ho? Acqua e pietra, bambù e pino.
La luna che sorge sulla collina è compagna gioiosa.
Oltre a questi compagni, quale altro piacere devo chiedere?”

(Yun-do Son, 1587 -1671)

Inizialmente il sijo veniva indicato con il termine “danka”, oppure “tanka” (“canzone”) come la forma poetica giapponese, dalla quale però si differenzia sia come metrica (essendo il tanka giapponese composto da un solo distico  di 31 sillabe, a fronte delle 44-46 del sijo), sia come contenuti, poiché il sijo, rispetto al tanka,  è molto più portato ad esprimere sentimenti e stati d’animo.

“Piegherò in due, per il mezzo,
questa lunga notte d’inverno
La ripiegherò per metterla
sotto la tiepida trapunta della brezza primaverile
e tutta la dispiegherò quella sera
in cui il mio amato giungerà”

Hwang Jin Yi

Vissuta nel 1550, Hwang Jin Yi, il cui nome d’arte era Myeongwol (“Luna Splendente”), è stata una delle più grandi autrici di sijo Hwang Jin Yi era una “gisaeng” “ginyeo”, ossia un’intrattenitrice, considerata come proprietà del governo. 
Famosa per la sua straordinaria intelligenza, non meno che per la bellezza e la maestria nel canto e nella danza, Hwang Jin Yi ha lasciato, oltre alle sue poesie, anche alcune descrizioni delle danze da lei stessa eseguite, probabilmente destinate ad istruire le “gisaeng” più giovani.

“Rispettabile Byuk Kye-Soo, non vantatevi della vostra prematura partenza
Quando si va per mare, diventa difficile tornare
La Splendente Luna piena sta sopra il vuoto monte
perciò, perché non restate qui a riposare?”

Hwang Jin Yi

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Nell’immagine: Un ritratto di Hwang Jin Yi

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