Magazzino Memoria

Lettere e testimonianze dalle “case chiuse”

16.03.2022

Il 20 febbraio 1958 viene approvata la legge 75, più nota come “Legge Merlin”, che abolisce le cosiddette “case chiuse” o case di tolleranza, introducendo i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.
Queste sono alcune lettere ricevute dalla senatrice socialista ed ex partigiana Lina Merlin:

Gentile Signora,

già da lungo avrei voluto scrivervi egregia signora, ma ho sempre rimandato, speravo venire a Roma e parlarvi personalmente, ma ora non posso più attendere, quindici giorni trascorsi a B. sono stati così tormentosi dissolvermi credo dieci lunghi anni di fango, e oggi a mani giunte signora vi prego lottate, lottate per il vostro progetto, salvateci.
Nell’autunno dello scorso anno lessi sull’Avanti!  il vostro discorso. Lo lessi con interesse, rilessi con commozione i punti più patetici, più umani, poi misi a parte il giornale e ancora lo conservo. Giorni fà qui a B. mi capitò tra le mani un opuscolo ove era scritto il vostro famoso di scorso questa volta lo lessi con avidità, mi sembrò portasse pace al mio animo in tempesta e questo vostro discorso l’ho letto tante volte che potrei ripeterlo a memoria.
Quanta verità nelle vostre parole signora.
Propaganda dicono le megere. Non è vero. Verità sacrosanta, anzi è ancora poco quello che avete detto, è peggio dovete credermi.
Qui a B. le case chiudono alle due di notte, un giorno sì e l’altro no si fa il turno di mattina quindi verrebbe un orario lavorativo dalle 9 alle 13, dalle 14 alle 19, dalle 20 alle due, sarebbero 15 ore di lavoro estenuante sotto la luce accecante del neon, stordite dalla voce rauca della megera se non ci diamo da fare, prive di aria perché le finestre sono ermeticamente chiuse dato che sporgono nel centro. La strada è via […], e se si sposta un po’ la tenda, le megere inveiscono contro di noi come furie.
La mattina poi che siamo libere che si potrebbe uscire per goderci un’ora di sole, bisogna invece poltrire in letto perché uscire sole è vietato, ordine del questore. Oppure uscire con la megera, ma tutte queste tenutarie sono conosciute, alcune portano sulla fronte scritto il marchio del loro turpe mestiere ed allora si rinuncia all’ora di sole. E poi anche accontentandosi di uscire accompagnate non vogliono uscire a piedi, oppure non vogliono accompagnarci per i negozi ove si deve fare le commissioni e bisogna rinunciare e stare a casa, farsi fare le spese dal cameriere, così se un oggetto costa 100 si paga 300, si perde la salute, il brio, tutto. Il questore vieta a noi l’uscita perché dice che teme si dia scandalo, e permette che i tenutari nei caffè parlino ad alta voce dei loro loschi incassi, del loro turpe mestiere, questa non è moralità vero?
E in tutte le città c’è una magagna, o proibiscono le uscite. In altre città i dottori neppure visitano quindi non si è sicure della nostra salute. In altre bisogna dare 10.000 lire al segretario per avere il posto. In altre ancora, ogni 15 giorni ricorre compleanni e onomastici delle proprietarie, esigono quindi regali e così si tira avanti e credetemi egregia signora anche modificando le leggi a nostro riguardo come dicono gli antiabolizionisti andrà sempre a vantaggio dei tenutari e noi si sarà sempre le vittime. La […] chiude gli occhi perché con qualche bigliettone gli […] arrotondano il magro stipendio.
Ed allora signora lottate, lottate perché questo triste mercato cessi, chiudete chiudete queste tombe dei vivi.

Dio vi benedirà.

***

B., 27 Gennaio 1951

Signora Deputatessa Merlin

Io ò saputo dalle mie compagne della legge che fà per noi prostitute. Io non me ne intendo; sono una povera donna che faceva la serva e sono delle
campagne di C. e vorrei tornarci a fare la serva o la contadina non questo mestiere che mi fa schifo. Ero a M. e M. mi faceva terrore e io uscivo poco,
avevo paura dei trammi e delle macchine, ma un giorno uscivo e incontrai uno che mi si mise dietro a camminare dietro. I miei padroni tutte le
sere facevano cene, ballavano e poi si baciavano e anche con le mani non stavano fermi bene e io pensai che fare all’amore non era peccato e mi ci
misi con un giovanotto che non parlava come noi di C. Ma un giorno mi portò nella sua camera perché disse «ò male allo stomaco». Ma altroché
male, lui mi prese e mi cosò anche mentre io piangevo e dissi «ò paura ò paura». Poi non mi à sposato e mi a fatto fare il figliolo. Io sono prostituta
perché i padroni non mi rivolevano e loro erano come me e pegio e si facevano sempre cornuti fra elli.
ò paura di venire via per la fame e per chiedere perdono alla famiglia che sono onesti fratelli e sorelle. Però a C. sarei felice, ci sono nata, c’è l’aria
sana, gli olivi e la vendemmia e anche i contadini mi volevano bene.
M’aiuti Signora Deputatrice io voglio salvare mio figlio.

***

“Gentile Senatore,

dicono che mi metteranno in galera appena chiudono le case ma io non ho mai fatto del male a nessuno e in galera non ci voglio andare, ci vadano i padroni che ci sfruttano il sangue a tutti noi; sono una di quelle ma non ero così e volevo crescere onesta, invece a 15 anni in una baracca mio cognato mi prese per forza e poi mi minacciò sempre di dirlo a mia sorella che ero stata io; appena mi accorsi di essere grossa scappai di casa e andai a fare la serva in una osteria. Appena si accorsero che dovevo fare il bambino mi dissero che ero una p. e che se volevo rimanere ancora lì dovevo lavorare senza paga perché già il mangiare e il dormire era troppo per quello che facevo. Invece lavoravo come una soma e quando alla maternità feci il bambino non avevo latte e lo portai a balia e mi dissero che se non pagavo prima non me lo prendevano.
Incontrai un soldato che mi disse sei una brava ragazza e i soldi per il bambino te li trovo io che ho la terra al paese e poi ti sposo. Allora i miei
padroni dell’osteria glielo dissero che lo avevo avuto da mio cognato e che ero una p. e che anche lì facevo la p., invece non era vero e lavoravo
sempre come una soma e mi davano da mangiare quello che avanzavano gli altri e dormivo sul pianerottolo con un materasso per terra. Allora
lui disse mi hai detto delle bugie o io non ti guardo più e non l’ho più visto. Allora uno che veniva all’osteria mi ha detto se sei brava te li trovo
io i soldi basta che qualche volta vieni con me, se no niente soldi per il tuo bambino e mi avrebbe fatto licenziare dove lavoravo; mi portava
sempre fuori e diceva che dovevo andare anche con i suoi amici se no niente soldi per il bambino e mi avrebbe fatto arrestare perché ero una p. Un giorno una come me mi disse va là stupida perché ti fai sfruttare c è un posto che guadagni bene e poi vai in America con il tuo bambino e nessuno ti vede più. Invece era d’accordo con lui e sono finita in una Casa e non le dico cosa ho passato e tutti i soldi me li portano via i padroni e lui che è d’accordo. Quando voglio scappare mi dice che il mio bambino me lo portano via e se esco mi mettono in galera e in galera e senza il mio bambino non ci voglio stare. Non sono vecchia, sono frusta, ho 24 anni, il mio bambino le monache non lo vogliono perché dicono che è bastardo e dove me lo tengono costa tanti soldi ma lui non deve sapere che sua mamma è una p. Sono sempre malata che non ho la forza quasi di alzarmi dal letto e sono in una Casa bassa e allora posso stare.
Tanti mi dicono perché io che sono brava sono finita lì e la padrona che è d’acordo con lui mi dice adesso la Senatore chiude le Case e se non
sei d’acordo con noi ti mettono in galera con tuo bambino. È vero che mi metteranno dentro se chiudono i casini? Senatore, invece di farmi mettere dentro mi potrebbe mandare all’ospedale con il mio bambino e a farci curare perché il bambino ha sempre qualcosa e il dottore dice che è il sangue non buono, invece io il sangue buono prima l’avevo, invece è che non li hanno mai dato tanto da mangiare perché si approfittano che io non ci sono e dicono che il denaro non basta e lui patisce la fame e ci ha sempre qualcosa. Non mi faccia mettere dentro me lo ha detto uno che è venuto che lei Senatore è una brava persona e allora io ho detto ci scrivo e se è una brava persona mi aiuta. Non ho mai fatto male a nessuno e sono una povera ragazza sfruttata sempre, sono una di quelle ma per mio bambino farei tutto. Non dica a nessuno il mio nome perché se lo sanno che le scrivo mi fanno ancora del male e al mio bambino che non sa che sua mamma è una p. e mi crede brava. Il mio bambino lo faccio pregare per lei se mi fa ritirare con il mio bambino all’ospedale in un posto che nessuno sappia chi sono e se mi stracciano il libretto perché è meglio morire tutti e due piuttosto che questa vita. Ce ne sono tante altre povere signorine come me che non ci hanno colpa e che hanno paura, hanno bambini da aiutare e gente cattiva le sfrutta, ma se invece di metterci in galera ci aiutano tutte allora sarà una gran bella cosa. I meglio saluti e mi aiuti che il mio bambino pregherà per lei.

***

Senatrice Lina Merlin – Senato della Repubblica – Roma

Sono una povera disgraziata (non ancora trentenne abbandonata dal marito espatriato in A.) con un bambino che appena conosce il volto della
sua mamma, perché obbligata lasciarlo vivere dai nonni lontani, non sapendo come provvedere al suo mantenimento. Invano sto cercando da
oltre due anni un qualsiasi modesto impiego (avendo frequentato un po’ di scuole magistrali) passando a vari uffici e Ditte private, non disdegnando
le più amare umiliazioni, ricevendo in cambio inviti a trascorrere… allegre serate.
Le mie ripetute sofferenze di vita stentata, mi hanno condotta ad una malattia che lo Stato da anni combatte e solo la Divina Provvidenza mi
ha salvata dalla tomba, guarendo, sia pure in parte, miracolosamente. La legge per l’avviamento al lavoro degli ex tubercolotici c’è ma anche questo,
per motivo di precedenza, per me, tutto è stato precluso. Purtroppo la fame non ammette altre alternative ed io disillusa di questa inumana società, dopo aver lottato con tutti i mezzi leciti ed illeciti per mantenermi nei buoni principi di donna onesta e di madre cristiana, mi vedo costretta ad intraprendere quella strada per cui la legge sopraindicata ne combatte i suoi fini.
Ora mi chiedo: se lo stato ha già in programma la riabilitazione di queste povere disgraziate perché non prevenirne una anzitempo?
A Loro mi rivolgo Onorevole Presidente ed Onorevole Senatrice, affinché questa mia supplica possa dare un esito positivo offrendomi la possibilità
di un sia pur modesto impiego.
Doverosamente

***

M., 7 novembre 1950

On. Senatrice,

sono stata una di quelle ragazze. Ora da circa sei mesi sono tornata definitivamente a casa mia col fermo proposito di farmi una vita nuova, di entrare a far parte della società, ma purtroppo ancora molti ostacoli mi chiudono ogni strada, anche perché non mi posso azzardare dato il mio precedente nella mia città dove abito e sono nata. Nessuno sa e oggi più che mai vorrei fosse segreto. Ma come faccio a trovare un onesto lavoro? Vivo qui a M. con mia madre che ha 70 anni, a mio carico da tredici anni, poiché da tal epoca sono orfana di padre e fu questo uno dei motivi per cui mi rassegnai a quella vita senza pensare al male che mi sarei sottoposta.
È inutile dire le mie sofferenze passate, non tanto materiali quanto morali: il mio io che si logorava di attimo in attimo, ma non voglio prolungarmi in questo triste e sporco ricordo. È l’oggi, il domani che desidero concretare. Mi sento tanta forza di volontà e so che potrò far molto, ma per incominciare ho bisogno di una mano amica che mi aiuti a rialzarmi. È a Voi On. Senatrice che mi appello perché siete l’unica persona a cui posso confidare ed avere la di Voi comprensione e aiuto. Come sopra accennavo, da sei mesi circa sono a casa, aspetto un lavoro: nonostante quasi giornalmente vado a presentarmi alla Camera del Lavoro munita del mio cartellino con relativo libretto di lavoro, non ancora riuscita a trovare un’occupazione. Perciò quei miseri guadagni fatti in passato sono serviti a sobbarcare le spese della mia modesta casa vivendo io e mia madre, ed ora non mi rimane che il terrore della miseria, siamo alle porte dell’inverno e le spese aumentano ancora con mia madre che dato l’età è in condizioni di salute precarie. Ho bisogno assolutamente di lavorare.
Ora spero solo nel Vostro interessamento. Ho 31 anni, nonostante tutto o avuto dai miei una buona educazione che non mi farà fare brutte figure dove avrò la fortuna di un’occupazione: in quanto riguarda all’istruzione ho fatto la I’avviamento al lavoro e potrei occuparmi come commessa in
qualche azienda.
Nella speranza di una Vostra risposta in merito che vi prego sia fra l’altro di massima segretezza riguardo il mio nome, chiedo scusa per il disturbo
che vi reco.
Obbligatissima

***

«In molte case poi le Signorine sono costrette a dormire assieme perché il personale non ha le camere, perché tutti i buchi sono stati sfruttati, benché qualche cosa con la paura della chiusura si sia fatto, come materassi, biancheria nuova e la ostentano a ogni commissione di controllo che si sa più
o meno in anticipo e così si preparano letti, ghiacciaie piene di carne, credenze piene di pasta e così via. Quando arriva un commissario noti che ci telefonano avvisandosi una con l’altra. (…) È inutile anche che mandiate commissione e ci interroghiate davanti alla direttrice, alle padrone, oppure anche senza queste, dentro le case. La verità non si può mai dire, non per viltà, ma perché sai che puoi fare la valigia e andartene e non venire più sulla piazza perché ti segnano a dito e nessuno ti vuole più. (…) «Se stai male, hai la febbre, devi lavorare lo stesso, perché la padrona altrimenti ti manda via. Lei ha bisogno di lavorare, non di gente ammalata e così con le donne di servizio: Sei ammalata? Via, via io non posso tenere donne ammalate, in casa ho bisogno di gente che renda».

Da “Lettere dalle case chiuse”, a cura di Lina Merlin e Carla Barberis, 1955.

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Testimonianze tratte dalla rivista “Crimen”

«Conosco questi posti, e per mia sola disgrazia con esperienza di diversi anni, nonostante tutta la mia volontà di redimermi, non sono riuscita a raggiungere i miei sogni. Ed il mio sogno si limita ad una semplice casa che la guerra mi ha distrutta. Come me, tante e tante mie povere compagne più o meno fortunate in questo lavoro, non sono riuscite a salvarsi. Sempre schiavitù, sempre sottomesse ad un regime di vita malsano e bestiale, quando si pensa che bisogna avere contatti con uomini cento e più volte al giorno. Non respiro l’aria pure né il sole mi bacia come tutte le creature della terra, alle 3.30 un campanello mi chiama al dovere e mi assoggetto come una schiava. Lo sfruttamento di tutte le tenutarie è enorme. Lavoro, sacrifico la mia carne, le mie forze a duro prezzo, le ore più belle della giornata le trascorro dietro a persiane spietatamente inchiodate, mentre la padrona vive felice nella sua amena villa, o al mare, o alle corse. (..)

«Sento porsi un dilemma dalla maggioranza delle mie compagne. Ci metteranno in un collegio o in un campo di concentramento? Temono e con loro anch’io di trovarsi allo sbaraglio, indifese, buttate  alla mercé di tutti, e soprattutto delle leggi che ci perseguirebbero. (…) Chiudere, anch’io grido,
chiudere o provvedere allo sfruttamento a cui siamo soggette, e solo così, anche che il destino ci riserva vita amara, che almeno ci sorrida l’idea di un domani redento. Ognuna di noi lotterà per una vita che potrebbe ancora rifiorire».

Kenia la milanese

«Bisogna andare con tutti anche con quelli che ci ripugna di andare. Perché? Povere creature anche noi siamo di Dio. Vedere tanta bella gioventù buttata in questi postriboli solo perché sono autorizzati che se così non fosse ognuna di noi avrebbe avuto un altro destino e no quello di essere schifata da tutti»

Renata C.

Testimonianze tratte da “Crimen”, IV, 30, 3-10 agosto 1948, pp. 10-11

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«Nelle case di tolleranza delle grandi città, Roma, Milano, Torino, Genova, ci sono ragazze che hanno guadagnato 20, 30 e anche 40.000 lire al giorno da parte loro, una parte del cinquanta per cento che spetta loro sugl’incassi e il resto mance. Bene: queste donne a fine scrittura [quindicina] non avevano denaro per partire perché giornalmente lo consegnavano ai loro sfruttatori. (…) Se una padrona di casa dà loro qualche buon consiglio, sconsigliandole di dare il denaro all’amante [sfruttatore] queste disgraziatissime donne riferiscono tutto al loro amante il quale le fa fare la valigie
e se le porta via».

Bruna

«Dal giorno 9-9-1945 che sono rientrata in Italia dopo 2 anni di campo di concentramento in Germania, leggo il suo giornale. Da due settimane leggo le lettere inviate da persone di diverso ceto per il pro o contro la chiusura delle case di tolleranza. Tutti scrivono, parlano, ma nessuno sa quale
sozzura ci sia in quegli ambienti. Sono milanese, ho 37 anni e all’infuori dei 2 anni passati in Germania, ho 15 anni di carriera miserabile di case di tolleranza. Sono stata in Abissinia, in Libia, in Albania, in Montenegro, sempre con la truppa, e ho girato l’Italia in lungo e in largo. Può credermi
che ne ho sin sopra i capelli di uomini, di Padroni e Padron di casini, di Segretari, di Dottori, colleghe. (…) I primi anni facevo la vita fuori, e la Questura di Milano mi aveva fornito di un libretto sanitario, e dovevo due volte alla settimana passare la visita all’Ambulatorio, e ringraziando Dio non sono mai
stata ammalata, non so che cosa è una blenorragia in 15 anni di carriera.
Le case di tolleranza sono state fatte per i militari, dunque io proporrei in ogni città due o tre case per loro, basterebbero, perché ogni donna che non soffre disturbi può benissimo sopportare 150 uomini al giorno, ne ho passati io sino 280 al giorno in Montenegro, e non sono morta, ho 37 anni, e ne
dimostro 30».

Anonima

«Vi chiediamo solo una cosa (che lavoro ci darete quando avrete raggiunto l’intento della chiusura delle case di tolleranza?) molte di noi hanno una famiglia e possono rifarsi una vita, ma la maggior parte sono senza casa e senza genitori. Penserà la Società a queste donne? No, la società ci respinge e ci disprezzerà, e non ha tempo di occuparsi di noi. Una cosa vogliamo chiedere: qual è il rango più depravato, l’alta Società oppure il basso popolo?
Siamo certe che questo non ci respinge, ma la società si. E allora come si potrebbe lavorare onestamente se quest’altra ci calpesta? No, non vogliamo andare sul marciapiede a fare compagnia a tante altre. Vogliamo solo star dentro poiché col nostro mestiere non abbiamo commesso delle brutte
azioni con nessuno e questo perché quando ci spogliamo del nostro corpo esiste un’animo molto nobile».

Testimonianze tratte da “Crimen”, IV, 31, 3-10 agosto 1948, p. 11.

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