Epistolario

Sunt certi denique fini, quo ultra citraque nequit consistere rectum

04.04.2022
Gentile Ambasciatore,
 Le rimetto qui accluse le insegne della Legione d’Onore.
Quando mi venne concessa, il gesto mi commosse profondamente. Dava una specie di consacrazione al mio amore per la Francia, per la sua cultura. Ho sempre considerato il Suo Paese una sorella maggiore per l’Italia e una mia seconda patria, vi ho risieduto a lungo, conto di continuare a farlo.
Nel giugno 1940, mio padre soffrì fino alle lacrime per l’aggressione dell’Italia fascista ad una Francia già quasi vinta.
Le rimetto le insegne con dolore, ero orgoglioso di mostrare il nastrino rosso all’occhiello della giacca. Però non mi sento di condividere questo onore con un capo di Stato che si è fatto oggettivamente complice di criminali.
L’assassinio di Giulio Regeni rappresenta per noi italiani una sanguinosa ferita e un insulto, mi sarei aspettato dal Presidente Macron un gesto di comprensione se non di fratellanza, anche in nome di quell’Europa che – insieme – stiamo così faticosamente cercando di costruire.
Non voglio sembrare più ingenuo di quanto non sia. Conosco abbastanza i meccanismi degli affari e della diplomazia, però so anche che esiste una misura, me la faccia ripetere con le parole del poeta latino Orazio:
Sunt certi denique fini, quo ultra citraque nequit consistere rectum”.
Credo che in questo caso la misura del gusto  sia stata superata, anzi oltraggiata.
Con profondo rincrescimento.
Corrado Augias

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