“A volte le cose cambiano all’improvviso, e questo non riguarda solo accadimenti eccezionali o trasformazioni epocali, ma piccoli mutamenti che segnano l’inizio di grandi eventi.
Per esempio in estate succede che la fila di giornate calde, secche e appiccicose al tempo stesso, si interrompa e senza nessun preavviso Palermo all’alba si ritrovi sotto una coltre di nuvole grigie. In pochi attimi il sole è un ricordo lontano e una luce tetra si spande su cornicioni, fregi, coppi, tettoie di eternit.
Il mare, come un vulcano voglioso di eruttare, ribolle al di sotto della sua superficie, piatta e ingannevole, mentre a terra mulinelli di polvere e cartucce spaurite preannunciano ai passanti solitari il cataclisma imminente. Furioso e improvviso il temporale si abbatte sulla città, eterna bella addormentata. Le strade si allagano, i tombini saltano, i rami degli alberi, affidati a un inconsistente “servizio giardini e potature”, si spezzano sotto il peso della pioggia. Le barche della Cala ondeggiano, cozzano l’una contro l’altra con rumore di stoviglie, le campane di bordo suonano impazzite come vascelli fantasma. Nelle case le donne corrono a chiudere scuri e tapparelle prima che l’acqua rovini tendaggi e parquet. Stanche del caldo che si protrae da mesi, rese irritabili dall’insonnia, si muovono nei corridoi con piglio deciso e lanciano occhiate di rimprovero ai loro compagni che, infrolliti dalla quotidianità, sono causa di scontentezza.
La frescura produce tuttavia sui loro animi inquieti un inatteso effetto benefico. Ringalluzzite, aprono le ante degli armadi e osservano indecise le pila di sandali colorati, le ballerine di tessuto sgargiante. Passano le dita su lacci e tomaie, lustrano cinturini, saggiano ora un tacco, ora una stringa, scegliendo poi di indossare il paio più vecchio o il meno amato, tanto nessuna di quelle scarpe potrà resistere ai torrenti in piena che scorrono sui marciapiedi sconnessi.
Mentre si consuma negli spogliatoi di ogni casa il drammatico dell’eterno femminino, gli uomini allungano i corpi sudati sotto le lenzuola e non accennano a muoversi dai letti, mugolando di piacere per quella friscanzana che entra prepotente. Sorridono e inseguono voglie inconfessabili, come se il sonno li rendesse invisibili agli sguardi indagatori delle mogli.
Dura poco il temporale, figlio dell’afa e del vapore acqueo che sale dal mare e si condensa sulle montagne alle spalle della città. In quell’intervallo di tempo tacciono anche gli uccelli: spaventati dalla tormenta, lasciano le altezze insicure e ripiegano con le ali bagnate sulle spiagge fangose.
All’improvviso la pioggia cessa, come la rabbia degli innamorati di fronte alle moine dell’amata. Rimane sullo sfondo il mare, che sussulta come un bimbo esausto dopo un lungo pianto.
Infine le strade tornano a risplendere di una luce bianca e pulita, mentre tra i mandamenti prossimi al mare si tende un arcobaleno dai colori trasparenti”.
Giuseppina Torregrossa, da “Panza e prisenza”, 2012
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Foto di Sonia Simbolo